giovedì 16 gennaio 2003

Malcom X



 


MALCOLM X


 







Discorso ai quadri di base -


 




Detroit 10 Novembre 1963


 


 


 


 


V. Malcom X, Ultimi Discorsi, a cura di George Breitman, Introduzione e traduzione a cura di Roberto Giammanco, Einaudi 1968. pg.23 e sgg.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 



Detroit 10 Novembre 1963



V. Malcom X, Ultimi Discorsi, a cura di George Breitman, Introduzione e traduzione a cura di Roberto Giammanco, Einaudi 1968. pg.23 e sgg.



Per capire ciò bisogna tornare alle definizioni date po­co fa da quel giovane fratello sui due tipi di negro che c’erano durante la schiavitù: il negro da cortile (house Negro) e il negro dei campi (field Negro). Il negro da cor­tile viveva insieme col padrone, lo vestivano bene, e gli davano da mangiare del cibo buono, quello che restava nel piatto del padrone. Dormiva in soffitta o in cantina, ma e­ra sempre vicino al padrone e lo amava molto di più di quanto il padrone amasse se stesso. Questi negri da corti­le avrebbero dato la vita per salvare la casa del padrone, prima ancora di quanto non lo avrebbe fatto lui stesso. Se il padrone diceva: «Abbiamo proprio una bella casa», il negro da cortile rispondeva subito: «Sicuro, abbiamo proprio una bella casa». Ogni volta che il padrone diceva «noi», anche lui diceva «noi». Da ciò si riconosce il negro da cortile.


Se la casa del padrone andava in fiamme, quel negro si dava da fare più dello stesso proprietario per spengere l’in­cendio e se quello si ammalava, lui gli diceva: « Cosa c’è, padrone, siamo malati? » Figuratevi un po’! Siamo mala­ti! Si identificava col suo padrone più di quanto questi non s’identificasse con se stesso; e se qualcuno fosse an­dato da lui a dirgli: «Andiamo via! Scappiamo! Separia­moci! », il negro da cortile lo avrebbe guardato in faccia e avrebbe detto: « Amico, ma tu sei pazzo! Ma che vuol dire separarsi? Ma dov’è una casa meglio di questa? Ma dove li trovo dei vestiti migliori di questi e del cibo me­glio di questo? »


Ecco com’era il negro da cortile. A quei tempi era chia­mato house nigger. Del resto li chiamiamo cosi anche og­gi, visto che abbiamo ancora fra i piedi parecchi di questi niggers da cortile.


La versione moderna di questo servo ama il suo padro­ne e vuole vivere vicino a lui. Pur di fare ciò è disposto a pagare affitti tre volte superiori per poi andare in giro a vantarsi: «Sono l’unico negro qui! » «Sono l’unico negro in questo settore». « Sono l’unico negro in questa scuola». Ma se non sei altro che un negro da cortile! E se qualcu­no viene da te e ti propone di separarti dal padrone, tu ri­spondi le stesse cose che diceva il negro da cortile nella piantagione. «Che vuol dire separarsi? Dall’America? Da questo buon uomo bianco? Dove lo trovi un posto meglio di questo? » Ecco cosa ti dice il negro da cortile:


« Io in Africa non ci ho mica lasciato niente! » Ma si, vai, in Africa ci hai lasciato il cervello!


In quelle stesse piantagioni c’era il negro dei campi: le masse. I negri che lavoravano nei campi erano sempre più numerosi di quelli che erano addetti alla casa del padrone. Nei campi si viveva come all’inferno, si mangiavano gli a­vanzi. Mentre in casa si mangiavano tutte le parti buone del maiale, al negro nel campo non toccavano altro che le interiora. Oggi le chiamano chitt’lings, ma a quei tempi le chiamavano col loro vero nome, e cioè budella. Ecco cosa eravate voi: dei mangiatori di budella. Alcuni lo sono an­cora.


Il negro dei campi prendeva legnate dalla mattina alla sera, abitava in una capanna, anzi una baracca, e indossa­va vecchi abiti smessi. Odiava il padrone, vi assicuro che odiava il padrone. Era intelligente. Dunque, mentre il ne­gro da cortile amava il suo padrone, quello dei campi, e si trattava della maggioranza, lo odiava. Quando la casa bru­ciava, non muoveva un dito per spengere l’incendio e an­zi pregava perché si alzasse il vento, un bel vento forte. Quando il padrone si ammalava, il negro dei campi prega­va perché morisse e se qualcuno andava da lui a dirgli:


« Separiamoci! Corriamo via! », lui non domandava certo: «Dove?», ma rispondeva: «Qualsiasi posto sarà sempre meglio che qui! » Oggi in America ci sono parecchi negri dei campi e io sono uno di quelli. Le masse sono composte di questi negri dei campi e quando vedono che la casa del padrone piglia fuoco non li sentite dire che «il nostro go­verno è nei guai». Loro dicono: «Il governo è nei guai! »Immaginatevi un po’ un negro che dice: «il nostro gover­no». Ho persino sentito uno che diceva « i nostri astro-flauti». Non lo lasciano neanche avvicinare alla fabbrica dei missili e lui dice « i nostri astronauti »! « La nostra marina»... Ma quello che dice queste cose è un negro che ha perso il cervello, ve lo dico io, proprio uno che ha per­so il cervello.


Cosi come il padrone di schiavi del passato si serviva di Tom, il negro da cortile, per tenere a bada i negri dei cam­pi, lo stesso padrone di schiavi oggi ha a sua disposizione i moderni zii Tom, gli zii Tom del ventesimo secolo, per tenere sotto controllo voi e me, per mantenerci passivi, pacifici e non violenti. ~ proprio Tom che vi rende non violenti. E' come uno che va dal dentista. Questi si appre­sta a strappargli un dente: quando comincia a tirare biso­gna reagire per forza ed è per ciò che il dottore vi mette in bocca un po’ di novocaina che vi rende insensibili dafi­dovi l’impressione che non vi stia facendo niente. Il pa­ziente sta li seduto e poiché ha assorbito tutta quella do­se di novocaina, soffre pacificamente. Il sangue gli scorre giù dalla mascella e lui non sa cosa gli sta succedendo per­ché c’è chi gli hà inségnato a soffrire: pacificamente.


L’uomo bianco vi fa la stessa cosa per le strade, quando vuole riempirvi la testa di botte, sopraffarvi senza aver paura che voi vi ribelliate. Per impedire appunto che vi ri­belliate, prende questi vecchi « zii Tom » religiosi perché insegnino a voi e a me, proprio come fa la novocaina, a soffrire pacificamente. Non è che cessiate di soffrire: sof­frite solo pacificamente! Come ha messo in evidenza il re­verendo Cleage, essi dicono che dovete far scorrere il vo­stro sangue per le strade. E una vergogna! Sapete che lui è un predicatore cristiano e se è una vergogna per lui, po­tete immaginare cos’è per me.


Nel nostro libro, il Corano, non c’è nessun insegna­mento a soffrire pacificamente. La nostra religione ci inse­gna ad essere intelligenti. Siate pacifici, gentili, obbedite alle leggi, rispettate chiunque, ma se qualcuno leva la ma­no contro di voi, mandatelo al cimitero. Questa è una re­ligione come si deve, e infatti è la religione del buon tem­po antico, quella di cui parlavano i vecchi: occhio per oc­chio, dente per dente, testa per testa, vita per vita. Que­sta è una religione come si deve e nessuno protesta perché viene insegnata, all’infuori del lupo che ha in mente di di­vorarvi.


Questo è il modo in cui si comporta l’uomo bianco in America. Lui è il lupo e voi siete le pecore. Tutte le vol­te che un pastore, dico un pastore, insegna a voi e a me di non distaccarsi dall’uomo bianco e nello stesso tempo di non combatterlo, ebbene, quel pastore per voi e per me non è altro che un traditore. Non buttate via una vita, ma difendetela perché è la cosa migliore che avete. Però se dovete rinunciarvi, che sia alla pari!


Il padrone prendeva Tom e lo vestiva bene, lo nutriva bene e gli dava persino un po’ d’istruzione: un po’. Gli regalava un cappotto lungo e un cappello a cilindro e cosf tutti gli altri schiavi lo guardavano con invidia. Poi si ser­viva di lui per controllare gli altri. La stessa strategia di cui si serviva in quei tempi, lo stesso uomo bianco l’ado­pera oggi: prende un negro, un cosiddetto negro, e lo ren­de famoso, gli suona la grancassa, gli fa tutta la pubblicità possibile fino a farlo diventare celebre, fino a farne un portavoce e un leader dei negri.


Vorrei parlare brevemente del metodo di cui si serve l’uomo bianco contro la rivoluzione negra, del modo in cui adopera i «grossi calibri» o i leader negri contro le masse. Essi non fanno parte della rivoluzione negra, ma sono a­doperati proprio contro di essa.


Quando Martin Luther King falli nel suo tentativo di abolire la segregazione razziale ad Albany nella Georgia, la lotta per i diritti civili in America toccò il suo punto più basso. King cessò quasi di esser considerato un leader, la Southern Christian Leadership Conference venne a tro­varsi in gravi difficoltà finanziarie e altri leader negri di statura nazionale divennero ben presto degli idoli infran­ti. Quando ciò accadde, quando essi cominciarono a per­dere prestigio e influenza, i leader negri locali si dettero ad agitare le masse. A Cambridge, nello stato del Mary­land, Gloria Richardson; a Danville, nella Virginia, e in altre parti del paese, i leader locali cominciarono ad agita­re la nostra gente al livello di base. Una cosa del genere non era mai stata fatta da questi negri che voi riconoscete come leader di statura nazionale. Vi controllano, ma non vi hanno mai incitato né stimolato. Vi controllano, vi im­pediscono di scagliarvi contro i vostri nemici e finora vi hanno tenuti dentro la piantagione.


Appena King falli a Birmingham, i negri si buttarono per le strade. King andò in California per partecipare a u­na grande manifestazione di massa e raccolse non ricordo quante migliaia di dollari. Poi venne a Detroit, organizzò una marcia e raccolse non so quante altre migliaia di dol­lari. Ricorderete che, subito dopo, Roy Wilkins attaccò King accusando lui e il CORE [Congress of Racial Equali­ty] di creare disordini dappertutto costringendo poi la NAACP [National Association for the Advancement of Co~ lored People] a spendere un sacco di soldi per liberare gli arrestati. Si accusava King e il CORE di raccogliere tanto denaro e di non restituirlo. Questo è quello che accadde e la documentazione l’ho tutta qui nel giornale. Roy si mise ad attaccare King, questi ad attaccare Roy mentre Farmer si mise ad attaccarli tùtti e due. Nella misura in cui qùesti negri di statura nazionale cominciarono a dilaniarsi uno con l’altro, cominciò anche il declino del loro controllo sulle masse negre.


I negri erano là nelle strade e discutevano come orga­nizzare la marcia su Washington. Fu a quel tempo, ricor­derete, che esplose Birmingham; i negri di Birmingham cominciarono a muoversi, a pugnalare i delinquenti bian­chi e a far loro la festa. Fu allora che Kennedy mandò giù a Birmingham la guardia nazionale e, dopo aver fatto ciò, apparve in televisione e disse che si trattava di «una que­stione morale». Fu allora che egli disse di voler presen­tare un progetto di legge sui diritti civili, ma quando ac­cennò soltanto a quella sua intenzione e i razzisti del Sud cominciarono subito a discutere come boicottarla, i negri si misero a parlare: di che cosa? Che volevano marciare su Washington, andar davanti al Senato, alla Casa Bianca, al Congresso e fermare tutto, impedire che il governo continuasse su quella strada. Ci fu persino chi propose di andare all’aeroporto, sdraiarsi tutti sulle piste per impedi­re che gli aerei atterrassero. Vi dico cosa fu detto allora. Si parlava di rivoluzione, era la rivoluzione, la rivoluzione nera.


Erano le masse, i quadri di base là nelle strade e ciò spaventò i bianchi, terrorizzò la struttura di potere bianca di Washington. C’ero anch’io là a vedere. Quando si ac­corsero che il rullo compressore nero si sarebbe mosso verso la capitale, mandarono a chiamare Wilkins, Ran­dolph e tutti quei leader negri di statura nazionale che voi rispettate: dissero loro di impedire la marcia. «Pensateci bene, — disse Kennedy — avete permesso che la faccenda àndasse troppo avanti». E il vecchio Tom rispose:


«Padrone, non posso fermarla, perché non sono io che l’hò iniziata». Ecco quello che dissero. «Non ne facciamo neanche parte, figurarsi se ne siamo a capo». «Questi ne­gri fanno tutto da sé e ci corrono avanti». Allora quella vecchia astutissima volpe dell’uomo bianco disse: «Se non ne fate parte, farò in modo che ci entriate. Vi metterò a ca­po di tutta l’iniziativa. La saluterò con entusiasmo, la ap­poggerò, la aiuterò. Io stesso vi parteciperò».





lo può fare avere, grazie.


 


 



Ascoltalo.


 



La traduzione riprende soltanto la seconda parte, e non tutta, indicata nel sito:part 2: 24 minutes. Non ho trovato il testo in inglese. Se qualcuno me lo può fare avere, grazie.




November 10, 1963

Message to the Grass Roots


Malcolm X

Northern Grass Roots Leadership Conference

Detroit, Michigan

Message to the Grass Roots



Part 1: 22 minutes

Part 2: 24 minutes



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