giovedì 7 agosto 2003

La battaglia di Campaldino vista da Barbabianca

La battaglia di Campaldino vista da Barbabianca




Il Casentino tra poesia e storia


 Itinerario dantesco


Appendice al cap. IV


 



 12000 fiorentini contro 8000 aretini. Battaglia avvenuta seguendo le regole: il guanto di sfida lanciato dal vescovo aretino fu portato il giorno prima al campo dei fiorentini che confermarono lo scontro per il giorno dopo.


L’11 giugno era una giornata ovviamente calda, con il cielo parzialmente coperto di nuvole. La sera prima, il Consiglio dei capitani di guerra fiorentini aveva stabilito la tattica da seguire: aspettare da fermi l’urto della cavalleria aretina e procedere poi al contrattacco.


Immaginiamo 800 cavalli via via lanciati al galoppo, lì tra Certomondo e l’Arno contro il muro dei cavalieri e palvesari, mentre da una parte Corso Donati con i pistoiesi si tiene pronto all’intervento di emergenza in appoggio ai fiorentini; lo stesso, da parte Aretina, dovrebbe fare Guido Novello, Signore di Poppi e Podestà di Arezzo. Dante, a cavallo, è tra quelli che ricevono l’urto e l’urlo dei nemici; componente della cavalleria leggera, forse si è trovato leggermente defilato dal centro dello scontro e non è finito disarcionato come tanti cavalieri posti al centro dello schieramento; e neppure è finito colpito da un’asta o trafitto da una balestra: se l’è cavata con molta paura (“temenza molta” come lui confessa) e la Divina Commedia è salva. Le balestre erano un’arma relativamente nuova, proibita dalle convenzioni internazionali del tempo, voglio dire dalle autorità della chiesa, perché capaci di trapassare a morte le corazze più potenti che resistevano almeno in parte alle spade e alle lance.


I fiorentini avevano più balestrieri degli aretini, la cui fanteria leggera era composta anche da contadini armati di accette e forconi (dio mio che mattatoio). Sta di fatto che 800 cavalli, una volta fermi e circondati da nemici ben disposti e armati, sono quasi un peso morto se immediatamente i 8000 fanti al seguito non prendono il sopravvento sullo schieramento nemico. E’ questione di minuti. Ma i fiorentini, che hanno rinculato al centro, reggono ai lati con parte dei cavalieri e tutti i palvesari, hanno lance lunghe e balestre ultimo modello. E poi c’è quel pazzoide di Corso Donati che, anche senza ordini, si butta nella mischia al momento giusto. Guido Novello, pendant di Corso Donati per la parte aretina, se la fa sotto e invece di dar manforte alla fanteria, scappa come un ladro tra le braccia della mamma, dentro al suo Castello di Poppi, troppo vicino e facile da raggiungere per lui. Così sugli aretini una trappola che si chiude, un mattatoio si apre. I700 ammazzati, 2000 imprigionati. Un po’ come era successo all’esercito romano di Lucio Emilio Paolo e Terenzio Marrone a Canne, in Puglia, quando ancora non era nato Cristo: la fanteria pesante – gli opliti – che sfondano al centro contro i tunisini di Annibale e rimangono poi intrappolati, presi ai lati dalla cavalleria libica e algerina, voglio dire dai Numidi di Massinissa, che mettono in fuga i cavalieri romani e danno tempo ai “marocchini” di tagliare a fette 40.000 (quarantamila) italici.


Così va il mondo.


Apro una parentesi: al tempo dell’Orlando Furioso gli scontri facevano meno morti. La battaglia serviva ad affermare la superiorità dell’uno o dell’altro; raggiunto lo scopo le spade riposavano. Per risparmiare il proprio sangue, i cavalieri antiqui, davano molta importanza al cerimoniale che poteva comprendere anche la semplificazione di uno scontro a 3 contro 3 (Oriazi e Curiazi), oppure a 12 contro 12 (disfida di Barletta). Lupo non mangia lupo, nobile non mangia nobile. Ma a Campaldino i mercanti di ricchezza recente e nobiltà comprata non si fanno scrupolo di eliminare per sempre dalla faccia della terra il cavaliere loro avversario e residuato storico: differenza fra scontro feudale e scontro comunale. I borghesi combattono per uccidere e per vincere, alla svelta. La guerra non è una professione, tanto meno un gioco con cerimoniale, combattuto tra fratelli d’arme: deve durare poco e permettere il ritorno veloce agli affari, proprio come in questo momento ci spiegano Bush e Blair (scusate).


Dante ha certo in mente queste scene di premiata macelleria quando, per esempio, descrive i dannati nella nona bolgia, cerchio ottavo, dei seminatori di scismi e di discordie (inferno c.28).


Dopo la battaglia l'esercito fiorentino assediò Bibbiena, devastò le campagne e arrivò sino ad Arezzo, dove si esibì in sceneggiate di sfottimento fuori delle mura, ma senza tentare di espugnarla.


Da qui i primi versi del XXII canto dell'Inferno, scritti a commento della celebre pernacchia di Barbariccia (ultimo verso del Canto XXI):


lo vidi già cavalier muover campo,
e cominciare stormo e far lor mostra,
e talvolta partir per loro scampo;
corridor vidi per la terra vostra,
o Aretini, e vidi gir gualdane, 
fedir torneamenti e correr giostra; 
quando con trombe, e quando con campane, 
con tamburi e con cenni di castella, 
e con cose nostrali e con istrane; 
né già con sì diversa cennamella 
cavalier vidi muover né pedoni, 
né nave a segno di terra o di stella. 
Note –


Stormo=sturm=assalto


Gualdane=scorrerie


Esempio di sfottimento: catapultato dentro le mura di Arezzo un somaro con la mitria in capo.

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