mercoledì 20 agosto 2003

La spada, la croce, la poesia (di Ella Noyes)



 


Ella Noyes e la storia del Casentino


La spada, la croce, la poesia.


“Quando si guarda al Casentino, laggiù in basso, la Valle Chiusa stessa diviene pensiero, memoria. Il passato emerge più vivido del presente ed il corso stesso del fiume diviene il simbolo, l'immagine delle possenti correnti di vita e di passione che un giorno fluirono attraverso la Valle. In giorni di un remoto passato il piccolo spazio circoscritto dai verdi colli, ora così pieno di pace, rinserrò in sé alcune delle più strenue forze della storia d'Italia. La catena di alture irte di castelli, lungo il corso del fiume e le torri di pietra che scrutano dalle balze ogni valle laterale sottostante, rammentano il sistema feudale che in passato dominò l'Italia quando, nel diluvio generale, in cui rimasero sommerse legge ed ordine, dopo la caduta dell'Impero e le successive invasioni del paese, il potere si ritirò sulla cima dei monti e fu impersonato dal braccio armato del barone indipendente.
Il Casentino, tenuto da grandi Conti Palatini, i Guidi che, colla forza delle armi avevano esteso il loro dominio su tutte le vallate più alte dell'Appennino in entrambi i versanti e fino al cuore della Romagna, fu nell'Undicesimo e Dodicesimo secolo la sede di un potere al quale gli ancora deboli e insignificanti comuni confinanti prestavano omaggio ed obbedienza.
Fu questo il periodo in cui la Vallata fu più strettamente collegata con il mondo esterno(1). Il traffico non aveva ancora aperto larghi sentieri o comode strade di transito, ma, a dorso di mulo, scavalcando le colline, gli uomini raggiungevano ugualmente le loro destinazioni. Mercanti e viaggiatori frequentavano le montagne e i villaggi, oggi piccoli e modesti, quasi inaccessibili sulle cime pietrose, che erano allora importanti luoghi di passaggio e sui monti si ergevano numerose e grandi abbazie, ridotte oggi a mucchi di rovine perse nella foresta, sui più alti pendii visitati oggi solo da cacciatori, abbazie che furono un tempo centri di rapporti umani e di attività politiche. La Vallata era probabilmente più popolata allora di oggi: dove il principe aveva la sua sede gli uomini si sentivano sicuri e si riunivano.
Ma i castelli, diroccati e senza tetto, narrano la storia del lento declino e della fine di un ordine, di baroni combattuti e vinti dal potere crescente delle città, di individualismi rovesciati dal risorgere e dal trionfare dei principii sociali delle comunità. Superbi e isolati, ognuno sulla sua collina, questi ruderi sono le desolate reliquie di un ordine delle cose da lungo tempo svanito. I vigneti che rivestono la Piana di Campaldino giù, presso Poppi, ricoprono le tracce della feroce lotta fra Guelfi e Ghibellini che, finita con la vittoria dei Fiorentini sugli Aretini, dette il colpo mortale all'indipendenza dei Guidi ed ai principii che essi rappresentavano.


Ma nei giorni del suo splendore la Valle non fu dominata solo dalla Spada. La Croce sfidava la Spada. Le orme di coloro che predicavano il Vangelo di pace restano ancora sulle montagne. Nascosto fra scuri boschi di abeti, fra i balzi e i precipizi del Gran Giogo, lassù, verso sud-est, c'è Camaldoli col suo Eremo, l'alta sede di San Romualdo e dei suoi seguaci. Lontano, verso ovest, le foreste di Vallombrosa, che San Giovanni Gualberto scelse come sede del suo nuovo Ordine. Ancora, a sud-est, roccia scura sulla cima del monte, proprio nell'occhio del cielo, ecco La Verna, dove San Francesco ricevette le Stimmate, il luogo più santo nella storia religiosa del Medioevo. Queste fortezze del potere spirituale sorgono sui monti, più in alto delle roccaforti dei Guidi. Il piede di quelli che rifuggivano dal mondo, scalando i monti, non si fermò ai picchi più bassi. Scalzi e solitari conquistarono le alture e vi piantarono la Croce. Da quassù essi alzarono le loro voci, all'unisono con le voci della natura, verso la Vallata, chiamando i popoli alla pace e invitandoli a salire e a lodare Iddio. Ed oggi, mentre i castelli si sono sgretolati e la Spada è finalmente sepolta, la Croce rimane il simbolo usuale sulle colline. Essa è piantata sulle cime più alte ed ad ogni svolta dei sentieri montani. Fino a poco tempo fa Camaldoli e Vallombrosa erano ancora grandi monasteri, l'Eremo ha ancora i suoi contemplativi abitanti e la Verna è un prospero centro di attivi Francescani. .
Ma gli ideali dei loro fondatori, veri portatori della Croce, hanno subìto cambiamenti con il tempo. Le folle di seguaci che salirono con essi portarono il mondo con le sue . necessità e le sue cure lassù, dove aveva regnato il solo spirito. Sotto il cielo aperto sorsero templi con i tetti per chiudere fuori le stelle e la Chiesa, sempre all'opera per imprigionare l'idea in una forma materiale, ha creato grandi istituzioni mondane sopra quei puri impulsi dell'anima individuale verso Dio
Oltre al Guerriero ed al Santo, un'altra autorità apparve nella Valle: il Poeta. Questi mirava ad unire gli altri due, a saldare la Spada alla Croce, rappresentati dall'Impero e dal Papato, in istituzioni gemelle, per l'edificazione del tempio di Dio in terra. Subito sotto di noi sono le sorgenti dell'Arno, e da questa zona Dante indirizzò le sue epistole infuocate a Firenze ed all'Imperatore Arrigo VII, ripetendo in una prosa grande per le citazioni della storia classica e sacra, la sua nobile teoria della missione divina dell'Imperatore ed esortando l'uno a sottomettersi e l'altro a venire presto a compiere il suo dovere. Ma la sua voce echeggiò nel deserto. Molto prima di quelle del Guerriero e del Santo, le speranze del Poeta parvero venir meno e perire. Il Tempio del suo sogno non poteva essere edificato in questo modo, e il mondo proseguì ignaro il suo corso, mosso da scopi ignoti al Poeta”.
o.c. pgg 19-35


nota 1: le sorelline Noyes parlano di mercanti e viaggiatori; tra questi ultimi dobbiamo ricordare i pellegrini. Infatti il Casentino, ai tempi di Dante e per tutto il 1300, era il punto di passaggio della Via Romea che portava i pellegrini dalla Germania – e fin dall’Inghilterra – a Roma. Da Forlì e Bagno di Romagna si saliva al valico del monte Serra (1148 m), tra i Mandrioli e la Verna, si attraversava la Vallesanta con Rimbocchi, Giona, Banzena, Sarna, Chitignano, Subbiano e quindi via per Arezzo, Trasimeno, Bolsena, Orvieto, Viterbo, Roma: dovunque borghi, con “spedali” ossia centri di accoglienza, castelli a guardia delle strade, chiese e monasteri; l’agriturismo di quei tempi. Tutto un fervore di vita. Chi scrive ricorda Fra’ Achille, infermiere, dottore, guaritore del santuario della Verna, una farmacia-ospedale mai più vista: l’onore di essere stato medicato da lui per una ferita non così lieve alla testa, per la caduta dal muricciolo della Melosa.
Fra’ Achille era un nome mitico fra i contadini di Vallesanta e per tutto l’Alto Casentino: quanto oggi Gino Strada di Emergency per gli Afgani.
Barbabianca si ricorda pure d’aver mangiato gratis – pasto caldo con pane a volontà - nella foresteria della Verna, negli anni quaranta, immediato dopoguerra,con la mamma, nativa di Vallesanta, insieme agli altri pellegrini saliti a piedi attraverso l’ultima salita della Beccia, che era l’unica strada e che si faceva soltanto a piedi.
Barbabianca ricorda pure il pezzo di pane integrale che il frate portinaio del Convento dei cappuccini di Certomondo distribuiva ogni volta – uno per uno - alla frotta di ragazzi che suonavano il campanello della portineria, anni 40-43. Era pane a tocchi che si mangiava “asciutto” lungo la via di casa, tra una corsa e l’altra.
Nota 2: le sottolineature sono di Barbabianca.

Nessun commento:

Posta un commento