martedì 12 agosto 2003

Raggiolo sotto le stelle



 


Il Casentino tra poesia e storia









Itinerario dantesco



cap. V°


Raggiolo sotto le stelle.


Che piacevole serata – per Barbabianca - il 10 agosto 2003 a Raggiolo, paese di pietra, dalla piazzetta scolpita sui sassi “posticci”, sotto la luna piena, mentre 5 giovani ti rievocano, al ritmo del jazz, le canzoni della giovinezza, al tempo di Rabagliati e del trio Lescano, con la tastiera, il contrabbasso, la batteria, il sassofono contralto, il clarinetto e una voce di fanciulla tanto spontanea e modesta quanto impostata alla perfezione sui ritmi sincopati del swing.
La meraviglia incantata di Franco e Pinuccia per lo spettacolo inaspettato, la gioia dell’incontro con Francesco e Graziella Mori, la rievocazione di vecchi ricordi scolastici con Giovanna Piroci, la voglia di comunicazione di Grazia Grechi.
Sì dolce sì gradita, quand’è com’or la vita?
Visitate Raggiolo, un fondovalle d’incanto proprio sotto il Pratomagno, ai margini del più bel castagneto del Casentino, incubatrice dei funghi porcini più saporiti d’Italia.


Nota: “Vedi quei massi alla base delle antiche costruzioni? – mi sussurra Francesco Mori, indicando le rocce sporgenti dai basamenti tutto intorno alla piazzetta – I contadini li chiamano sassi “posticci”, nel senso che sopra di essi si pongono le fondamenta delle case”.
Dunque tutt’altro che posticci!



Così vedeva Raggiolo Ella Noyes cento anni fa:


Ad ovest di Bibbiena nell'alta valle del Teggina, uno degli affluenti dell'Amo, giacciono Ortignano e Raggiolo, un tempo posti fortificati, che conobbero più di un cambiamento di padrone e furono i campi di feroci battaglie. Mala valle, con i suoi campi silenziosi, i suoi ripidi boschi di querce e castagni, oggi parla soltanto di pace. C'è un'ottima strada per andarvi,di cui i valligiani sono incredibilmente fieri. Chiesi, una volta, ad una vecchia la via per Raggiolo e mi sentii rispondere che potevo andare dove volevo, poiché la via era ottima in tutte le direzioni, notizia per lei molto più importante che indicarmi la via per la mia destinazione. Questo perché questa è una terra in cui i percorsi della vita, sono fatti più per sostarvi e goderseli che per essere puri mezzi di transito, dove correre verso un qualche fine!
Passando attraverso San Piera Frassino (sic!), con l'alta cresta di Uzzano a sinistra, per primo si scorge Ortignano, posato in cima ad una collina, con alle spalle il grande muro del Pratomagno. Una ripida stradina si arrampica, fra i sassi, fino al villaggio, dove non c'è niente di interessante. La pieve è una costruzione moderna e la cosiddetta, Madonna quattrocentesca che vi si trova non ha pregi particolari; può forse essere la copia di un antico maestro. Ortignano fu un tempo uno dei domini dei Vescovi di Arezzo e più tardi appartenne ai monaci di Camaldoli. Nel Tredicesimo e nei primi anni del Quattordicesimo secolo era caduta in mano ai Conti Guidi di Bagno, che non temevano l'ira di Dio ed erano soliti derubare i loro vicini. Guido Novello II, nipote del famoso omonimo, sembra sia stato l'ultimo della sua Casata a governare o malgovernare Ortignano. Gli successero gli Ubertini ed i Tarlati, a tempi alterni, fmché, nel 1349 gli abitanti, stanchi di passare da un oppressore ad un altro, furono con facilità persuasi da Firenze a sottomettersi alla Repubblica.
Nel fianco della montagna, sopra Ortignano, si trova l'antica Badia a Tega, un tempo Abbazia di Selvamonda,grande convento nell'epoca in cui il Casentino era più frequentato. Fu abbandonata dai monaci nel 1422 ed ora è del tutto sperduta e dimenticata fra quei boschi, da cui forse trasse il nome.
Raggiolo è circa a due miglia da Ortignano, risalendo il Teggina. La strada prosegue ripida, con ampi giri attorno ai contrafforti dei colli, che si stringono ai lati della valle, sempre più angusta. Gli alti monti impediscono alla luce del sole di penetrare nel fondo valle, man mano che si sale, calano ripidi, ammantati di fitti boschi, fino al letto sassoso del torrente, nel profondo burrone. Ad un tratto la valletta si allarga e Raggiolo vi sta davanti: un mucchi etto di case ai piedi del possente Pratomagno. La strada scende fino al livello del torrente, si scopre così che il villaggio sorge su di una piccola altura, che sporge dal fianco della montagna.
Dal ponte la vista del paesino è veramente pittoresca: proporzionato e dignitoso sul suo cucuzzolo, le casette allineate tra i boschi scoscesi, bagnato ai suoi piedi da due argentei torrenti, che vengono giù, ai suoi lati, dai recessi caliginosi del Pratomagno, per confluire ai piedi della piccola altura.
Raggiolo, sebbene così nascosto fra le montagne, signore solo dei suoi pascoli sassosi e dei suoi b9schi, fu oggetto di lunghe contese fra i feudatari del Medioevo. Era un luogo adattissimo per nascondervi i prigionieri fino a che il mondo non li avesse dimenticati. Guido Novello II, che possedette Raggiolo e Ortignano, tenne più di un infelice incatenato nelle segrete della sua torre sulla montagna, poi, in punto di morte, lasciò detto ai suoi eredi di riparare, seppur tardivamente, alle sue prepotenze. Destinò anche del denaro per fondare a Raggiolo una chiesa ed uno spedaletto per i pellegrini e per i malati, forse in espiazione di oscuri misfatti perpetrati nel villaggio.
Anni dopo, quei nobili predoni dei Tarlati, Pier Saccone e suo figli Marco, dopo aver invaso tutti i monti di queste parti del Casentino, si impossessarono di Raggiolo; nel 1356, il Conte Roberto di Poppi, le cui terre erano state guastate e saccheggiate dai Tarlati, radunato un esercito, penetrò nella valle e pose l'assedio a Raggiolo. Per nulla scoraggiato dalle nevi invernali e da una tardiva e fredda primavera, Roberto fece costruire delle piccole capanne per i suoi arcieri ed assaltò il castello con tanta ostinazione che ridusse alla disperazione i difensori. Ma, quando già pregustava il piacere della vendetta, Firenze, usando la consueta, sottile politica di proteggere il più debole dei contendenti in faide di questo tipo, si mise in mezzo alla contesa e costrinse il riluttante Cont_ a mollare la preda. Il conflitto finì, come si poteva facilmente prevedere, con la successiva cacciata dei Tarlati per opera di Firenze e con il passaggio del feudo conteso sotto il suo dominio.
La viuzza lastricata, che conduce al villaggio, è ripida e stretta com'era nei tempi antichi, quando !'inaccessibilità era il requisito più importante di questo luogo. Si passa fra arcigne case di pietra, con scuri passaggi a volta e bui interni; e si raggiunge la cima dopo infinite curve a gomito. n villaggio è di grandezza considerevole ed i resti delle spesse mura del castello si possono scorgere dalla strada, stretta e squallida. Sopra l'antico portale della chiesa è scolpito lo stemma dell' Arte della Lana di Firenze: l'Agnello con lo stendardo. Da ciò si può supporre che la famosa corporazione abbia esteso la sua protezione ed il suo patronato su questa chiesa fondata dal Conte Guido Novello, dopo che Raggiolo era stato sottomesso alla Repubblica. Dentro alla chiesa non c'è niente di interessante. Oltre il villaggio ricominciano i castagneti, che salgono su per le falde della montagna, verso la cima. Seduti sulla grande, muschiosa radice di un vecchio albero, canuto di muffa, guardiamo indietro, al di là delle case, la lunga i strada che abbiamo percorso, sino a dove la valle si apre sul piano e, più lontano, alle irreali colline azzurre, fino al Sasso della Verna, che si libra su di esse. Ai piedi di questo colle, scendiamo sulle sponde del torrente: ci sono dei prati verdissimi, orlati di pioppi, freschi e silenziosi rifugi per riposare in un giorno d'estate. In inverno potete sostare qui, sedervi su di un masso abbandonato dalla piena e tiepido di sole e lasciare che la mente si liberi dalla tristezza dell'inverno. Gli alti e nodosi tronchi degli alberi sono grigi e spogli sopra la corrente argentea, un pallido sole sorride sopra di essi, sui massi, sui ciuffi morti dell'erica, sull'erba scolorita e sulle querce color ruggine, arse dal gelo. Di fra le piante giunge la voce di una ragazza, nascosta alla vista, che canta una canzone monotona, mentre guarda le sue pecore. E' tanto, tanto tempo che Roberto e i suoi arcieri hanno cessato di disturbare e, da allora a Raggiolo ogni giorno è stato uguale all'altro, senza cambiamenti, eccetto quel lento pulsare, che impercettibilmente riempie il piccolo cimitero e rinnova le facce nei secolari abituri.


Ella e Dora Noyes, Il Casentino e la sua storia, Frusta ed. Stia 2001, pgg.261-265.


Traduzione di Amerigo Citernesi.

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