martedì 13 luglio 2004

La ricerca della felicità IV

Le nostre radici antiche IV


La ricerca della felicità
in Seneca



Non tutti i filosofi antichi consentono col principio stoico che basti la virtù per essere felici: Teofrasto, per esempio, nega che la felicità sia in potere del sapiens, il quale si trova anche lui, come il resto del genere umano, in balia della fortuna per quanto riguarda i beni del corpo e quelli esterni. Altri Peripatetici tornano alla formula quantitativa e ‘media’ di Aristotele, secondo cui può definirsi felice un uomo che agisca secondo perfetta virtù e sia provvisto di una sufficiente quantità di beni corporei ed esterni. In ogni caso, ciò che tutte le etiche antiche prescrivono all’individuo come soggetto morale non è tanto raggiungere la felicità quanto fare il possibile per raggiungerla: come il compito dell’arciere non consiste nel colpire il bersaglio, ma nel fare tutto il possibile per colpirlo, compito dell’uomo non è conseguire il sommo bene, ma adoprarsi con tutte le sue forze per conseguirlo (Cic. De finibus, 3.22).


Sulle varie tappe di questo processo lungo e difficile verso la perfezione fanno luce le Lettere a Luciliø di Seneca, tanto più affascinanti in quanto scritte a un amico più giovane, ancora impegnato nell’amministrazione dello stato, da un uomo che si sta preparando a morire (dopo essersi ritirato a vita privata una volta fallito il progetto politico di trasformare Nerone in un principe illuminato). Lo spunto per la meditazione filosofica è offerto dalla quotidianìtà: un viaggio, un incontro, una vacanza, un’indisposizione. Le esortazioni riguardano l’uso del tempo (epist. i Lucilio, vindica te tibi, renditi padrone dite stesso, raccogli e custodisci quel tempo che ti viene continuamente sottratto o ti sfugge); la concentrazione nella lettura (epist. 2) C’è qualcosa di vago e instabile nel vagabondare tra un autore e l’altro: dopo aver letto, scegli un solo pensiero che tu possa assimilare quel giorno. (Magnaldi)


LIBRO PRIMO

1 Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell'agire diversamente dal dovuto. 2 Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l'altro la vita se ne va. 3 Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il tempo che ha ricevuto, quando è proprio l'unica cosa che neppure una persona riconoscente può restituire.
...stammi bene.


I. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM


[1] Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibihoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedamsubducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae perneglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur maleagentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. [2] Quem mihidabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegatse cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna parseius iam praeterît; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, miLucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minusex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. [3] Dum differtur vitatranscurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huiusrei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellitquicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissimasunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur, nemo seiudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod negratus quidem potest reddere. ...Vale



2
1 Da quanto mi scrivi e da quanto sento, nutro per te buone speranze: non corri qua e là e non ti agiti in continui spostamenti. Questa agitazione indica un'infermità interiore: per me, invece, primo segno di un animo equilibrato è la capacità di starsene tranquilli in un posto e in compagnia di se stessi. 2 Bada poi che il fatto di leggere una massa di autori e libri di ogni genere non sia un po' segno di incostanza e di
volubilità. Devi insistere su certi scrittori e nutrirti di loro, se vuoi ricavarne un profitto spirituale duraturo. Chi è dappertutto, non è da nessuna parte. Quando uno passa la vita a vagabondare, avrà molte relazioni ospitali, ma nessun amico. Lo stesso capita inevitabilmente a chi non si dedica a fondo a nessun autore, ma sfoglia tutto in fretta e alla svelta. 3 Non giova né si assimila il cibo vomitato subito dopo il pasto. Niente ostacola tanto la guarigione quanto il frequente cambiare medicina; non si cicatrizza una ferita curata in modo sempre diverso. Una pianta, se viene spostata spesso, non si irrobustisce; niente è così efficace da poter giovare in poco tempo. Troppi libri sono dispersivi: dal momento che non puoi leggere tutti i volumi che potresti avere, basta possederne quanti puoi leggerne. ...stammi bene.


II. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM


[1] Ex iis quae mihi scribis et ex iis quae audio bonam spem de te concipio: non discurris nec locorum mutationibus inquietaris. Aegri animi ista iactatio est: primum argumentum compositae mentis existimo posse consistere et secum morari. [2] Illud autem vide, ne ista lectio auctorum multorum et omnis generis voluminum habeat aliquid vagum et instabile. Certis ingeniis immorari et innutriri oportet, si velis aliquid trahere quod in animo fideliter sedeat. Nusquam est qui ubique est. Vitam in peregrinatione exigentibus hoc evenit, ut multa hospitia habeant, nullas amicitias; idem accidat necesse est iis qui nullius se ingenio familiariter applicant sed omnia cursim et properantes transmittunt. [3] Non prodest cibus nec corpori accedit qui statim sumptus emittitur; nihil aeque sanitatem impedit quam remediorum crebra mutatio; non venit vulnus ad cicatricem in quo medicamenta temptantur; non convalescit planta quae saepe transfertur; nihil tam utile est ut in transitu prosit. Distringit librorum multitudo; itaque cum legere non possis quantum habueris, satis est habere quantum legas. ...Vale.


Le lettere di Seneca
Continua

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