domenica 3 ottobre 2004

Che rimescolio una macchina da presa.


Mare dentro
Visto Mare dentro, con Paola. Prezzo 3 euro (over sixty), ragazzi cercate di invecchiare perché la vita è bella. Già la vita. Capita ancora di vedere, per le vie dell’Isolotto, un ragazzo (oggi un ex-ragazzo) in carrozzina a vita per un tuffo in piscina. Banalità del caso o banalità della vita? Scelgo il primo corno del dilemma. Il volo di Calaf a volo radente sull’elicottero che lo porta verso il mare-Turandot, verso l’amore e la morte…Cosa non può fare una macchina da presa! Vero, Stefano?  Uso questo stile scanzonato per coprire il fatto che, io, pelle indurita da tante primavere, sono stato un paio d’ore accanto al letto di Ramon con gli occhi bagnati per l’emozione. Perché tanta partecipazione? Avrei sofferto lo stesso coinvolgimento trent’anni fa? Morte e libero arbitrio: due perni della vita umana. Il libero arbitrio, cioè la capacità – prima che il diritto – di decidere liberamente della propria vita è il problema della giovinezza, messo in questione dal superio (dover essere: devi essere buono, studioso, diligente e puro, obbediente e rispettoso delle Leggi…); la morte è il problema della terza età, e quarta; qui a Firenze, patria del vocabolario, vien chiamata età libera, il più bell’eufemismo del linguaggio umano. Ed è vero:  finché dura la salute, finché non si affaccia Lei, Turandot, il tuffo in piscina, la fine del bene stare, la morte.
Finale del film, fine di un tabù: la morte vista ad occhi aperti, con dignità coraggiosa e quasi serena, anzi senza quasi. Quella macchina da presa che guarda Ramon morire senza spengersi.  Sarà tutto come prima, come prima di nascere (Lucrezio, De rerum natura, Leopardi, La Ginestra).
Ma fino ad allora è il momento del libero arbitrio.  Rinascimento fiorentino, discorso di Dio ad Adamo di Pico della Mirandola a 24 anni: (a 31 è già in braccio a Turandot). " Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu possa darti la forma che vuoi, come libero e sovrano scultore e artefice di te stesso. Potrai degenerare negli esseri inferiori, i bruti; potrai rigenerarti, se lo vorrai, nello cose superiori, divine». 
Anche Virgilio a Dante:
  Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
 
  per ch'io te sovra te corono e mitrio
(Purg. XXVII)


E questo flash di bloggerdiguerra che da giorni mi trafora il cervello:

 "Il regista israeliano, Giuliano Mer – intervistato alla trasmissione televisiva Report del 10 settembre 2004 - descrive così i ragazzi del campo profughi di Jenin che si facevano esplodere (invano) contro gli immensi caterpillar che abbattevano le case, con i loro abitanti ancora dentro:
Il campo profughi è molto piccolo, controllato dal più potente esercito del mondo con le apparecchiature più sofisticate del mondo. Circondati da elicotteri apache e carri armati, l’unica cosa che possono fare contro a questa enorme macchina è farsi saltare in aria. Dei 23 kamikaze che si sono fatti esplodere a Jenin io ne conoscevo 6: nessuno era religioso, nessuno cercava vergini nel cielo, ciò che li spinge è che preferiscono morire piuttosto che vivere come morti. Io credo che se i palestinesi avessero il Vietnam dietro di loro si comporterebbero come i Vietcong ma invece hanno intorno solo cemento, cemento muri muri, muri, muri, muri e muri una piccola quantità di esplosivo, chiodi, e si fanno saltare in aria, questo è quello che gli è rimasto". 
Sì, accanto al letto di Ramon ho visto i 23 ragazzi di Jenin.


Uomini costretti a desiderare la morte come Calaf desidera Turandot, i torturati di Abu Graib, i dilaniati di Gaza e Fallujia, i bambini di Jenin. Anche la morte prematura dei miei genitori, non so, ma mi devo pur spiegare l’emozione di Mare dentro; un’emozione sado maso, un piacer figlio d’affanno; grande musica, grande fotografia, una macchina da presa fascinosa e compiacente, sapientemente insinuante… Che rimescolio una macchina da presa.

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