domenica 21 agosto 2005

Riletture di Paola

 Non so nulla o quasi di Fausta Cialente, ma mi incuriosiscono alcuni commenti pronunciati a mezza voce da Paola, la lettrice di casa. Un libro del 76, una scrittrice nata nel 1898, ci presentano questioni sempre così attuali. E’ così che chiedo collaborazione in famiglia e ne vengono fuori poche citazioni interessanti che mi affretto a scannerizzare e pubblicare.

Metto un titolo ai capoversi: 

-         Trieste mia;

-         Arabi d’Egitto; 

-         La morte e la vita intorno alle Piramidi;

-         Palestina, Palestina.

 Fausta Cialente Le quattro  ragazze  Wieselberger-Mondadori ed. 1776




Trieste mia

Già allora gli avyersari non erano più gli "austriacanti", coloro che alla fin dei conti avevano sempre rappresentato e difeso i grossi interessi d'una città tanto ricca, dipendente d'uno stato ancora ricchissimo e po­tente, e non avevano mai voluto compromettersi con un irredentismo troppo acceso - o scalmanato - come dice­va mio padre. Gli avversari erano fatalmente diventati i socialisti insieme agli sloveni, una minoranza, indub­biamente; ma la cui nascente solidarietà dava fastidio e forse preoccupava; questo spiega la trionfale votazio­ne ch'ebbero gl'irredentisti nel 1897. Dieci anni dopo la situazione era già 'capovolta e nel corso di certe riu­nioni non mancarono neppure i fischi contro i rappresentanti della ricca e ottusa, borghesia che nei suoi discorsi non lasciava 1l)ai entrare le questioni dei lavoratori, sembrava anzi volerle ignorare. «< Date il super­fluo ai poveri! » era stato detto pubblicamente). Nella forma di governo ch'essa auspicava per la città quando fosse "divenuta italiana" la voce dei lavoratori era esclusa; teneva in considerazione soltanto se stessa, poiché era convinta che solo dall'alto della sua forza e della sua ricchezza poteva tutelare gl'interessi d'una società fatta a sua misura. 'Respingeva quindi "la mas­sa", quasi fosse logico e naturale condannarIa a rima­nere nella sua povertà e nella sua ignoranza, e che in Italia, la tanto vagheggiata Italia, quella "massa" fosse già da hmghissimo tempo condannata all'emigrazione  per antica miseria -- sembrava non signifi­care nulla per tutti quei liberalmassoni di destra, della Gran Destra capeggiata dal Veneziani al quale, dopo la morte fu inevitabilmente "giusto" intitolare la via del Fontanone dove aveva per molti anni abitato.

Al razzismo che stava alla base dell'annosa e insoluta questione slovena si, aggiungeva quindi !'incomprensio­ne o addirittura l'indifferenza, quando non la sprezzan­te ostilità nei riguardi dei "lavoratori"; ma il peso di questi enormi sbagli commessi dall'Ottocento - che non sono sbagli solamente  triestino-irredenti, sono an­che sbagli italiani - avrebbe finito, dopo una disastrosa prima guerra mondiale, per trascinare l'Italia nel fa­scismo, e Trieste con essa.(o.c. pag. 130)

 Arabi d’Egitto

 Io amavo invece la loro presenza, così discreta, sem­pre; quei loro piedi eternamente scalzi o tutt'al più ri­vestiti di silenziose babbucce, per cui mi sorgevano ac­canto inavvertiti, quel loro mormorare gentile, quasi affettuoso, quando venivano a chiedermi un ordine o a farsi ripetere qualcosa che avevo già detto. Non cono­scevo molto della loro lingua vivace e spiritosa, solo quel tanto che bastava a farmi intendere, ma l'adope­ravo anch'io con gentilezza, ed essi mi sorridevano gra­ti, poi se ne andavano col loro passo leggero, facendomi il loro discreto segno di saluto, le dita che sfiorano il petto, o la fronte o le labbra - che è anche un ringra­ziamento. E non erano falsi, come quasi tutti preten­devano che i servi indigeni fossero, erano modellati da una religione cortese o da un'antichissima civiltà, che sentivo il dovere di rispettare. Avrei dovuto ostentare superiorità o prepotenza solo perché ero di razza bian­ca? Infatti di me essi. dicevano ch'ero "come il latte, come lo zucchero", e questo è, in arabo, un gran com­plimento. Non avrei davvero potuto ingiungere a nes­suno di loro di non "guardarmi in faccià". Li guardavo anzi diritto .negli occhi che sovente erano bellissimi, nuotanti in un liquido splendore se giovàni, o pietosa­mente feriti dal tracoma se anziani o vecchi.

E poi amavo le stagioni sul Delta! quelle lunghe pri­mavere e le lunghissime, umide estati, interrotte solo da poche settimane di piagge e burrasche tra la fine di novembre e i primi giorni di febbraio, quando nel de­serto scoppia la fioritura degli anemoni rossi e azzurri che andavamo. a raccogliere; ma poi, nel deserto, il sole brucia tutto e sotto il volo dei nibbi e delle allodole ri­mangono a scintillare solamente le antiche pietre. Sapevo che avrei per sempre rimpianto la mitezza del cli­ma governata da una dolce umidità marina, e la fiori­tura del gelsomino d'Arabia fa parte del mio sognante ricordo. L'avevo sempre coltivata sulle terrazze a nei giardini di Ramleh, e mentre leggevo seduta sui gradini d'una veranda o ai piedi d'una vecchia colonna di legna, sentivo, prima ancora di vederla, la caduta delle lievi corolle acutamente profumate che mi ritrovavo poi fin dentro i capelli; e le fitte collane dello stesso morbido gelsomino che gli arabetti mi offrivano per poche piastre,  con un sorriso splendente, correndomi dietro sui mar­ciapiedi del boulevard Saad Zaglul. Tutta sarebbe rimasto il simbolo d'un tempo favoloso e illusorio e sol­tanto la guerra avrebbe avuto lo sciagurato patere di troncarlo. (o.c. pag. 215-216) 

La morte e la vita intorno alle Piramidi. 

L'affetto della vita quotidiana accompagna i morti nelle tenebre ed emana ancora un fascino amabile e spiritoso, il desiderio patetico di non abbandonarsi senza resistenza o conso­lazione alla solitudine eterna. La morte stava quindi fuori, nella visione dei templi crollati, nel paesaggio drammatico e crudo delle valli faraoniche sconvolte, che mostrano le bocche spalancate delle tombe aperte e pro­fanate, nelle linee stabili e immobili delle divinità e dei giganti di pietra. Allontanandomi dai colossi di Memno­ne elevati in mezzo ai campi verdi di trifoglio, ricorda­vo d'aver avuto la sensazione che quei mostri immensi avevano anch'essi inghiottito un tempo smisurato e da millenni guardavano il cielo col viso mutilato; ma intor­no ad esso .quella sera le colombe volavano in: un am­pio cerchio e m'era sembrato, quel volo, tanto più dolce e vivo. 

Ma quando al ritorno parlavo di questi ricordi e im­pressioni ai miei compagni di lavoro, venivo di solito garbatamente canzonata per l'entusiasmo o l'emozione che mostravo, e non mi burlavano perché m'ero data una così breve vacanza, ma perché avrei dovuto ricor­dare come tutte quelle magnificenze, a cominciare dalle Piramidi e dalla Sfinge, per la loro costruzione, durante secoli, fossero costate la vita a migliaia di schiavi; il fasto dei ricchi e dei potenti (i soli che possono lasciar traccia nella  storia) è sempre costruito sull'anonimo san­gue dei poveri, mi dicevano. « È vero» io rispondevo, « ma noi stiamo facendo adesso, proprio adesso, molto peggio in quanto a sangue anonimo e distruzione, con i mezzi di cui disponiamo» (già si mormorava dei cam­pi di sterminio nazisti) « e voglio vedere quel che la­sceremo d'altrettanto bello e indistruttibile dietro di noi!» ( pag.215-216)

Palestina, Palestina. 

 Q
uando dopo la sosta a Damasco l’aereo volò un po’ più basso sul deserto e vidi miserabili accampamenti dei rifugiati dalla Palestina, quelli della prima guerra con Israele, ebbi un moto d’indignazione che forse meravigliò i miei compagni di viaggio. Che cosa il mondo occidentale e il mondo arabo potevano aspettarsi, mi chiedevo, da una massa così turpemente abbandonata, dai giovani e dai bambini che crescevano in quelle condizioni, senza casa né patria, il cuore già pieno di un giusto risentimento contro la pelosa e ambigua carità di cui erano l’oggetto. La loro collera si sarebbe presto trasformata in odio, in un irresistibile desiderio di vendetta. “Creare un altro nazionalismo?” aveva detto qualche tempo prima mio marito. “Non ce ne sono già abbastanza? Non ci hanno portato sufficientemente scalogna? Se almeno fondassero uno Stato davvero democratico e moderno, cioè tollerante! Ma con i quattrini dei ricchi ebrei statunitensi, il fiore della reazione, che si guarderebbero bene loro dal venire a vivere in Israele, faranno esattamente il contrario, vuoi scommetterlo? (o.c. pag.244)  




 


 

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