sabato 8 ottobre 2005

Lo sciopero degli angeli
Divertissement


Approfitto del discorso cascato sugli angeli in rivolta per la conquista dei diritti civili agli inizi del Novecento, dentro il romanzo di Anatole France, per regalare ai passanti di turno questo racconto, leggero e piano come una poesia, di Mario Bucci, un amico (e parente) che ci ha lasciato da poco più di un anno. Come introduzione al racconto mi limito a riferire che Mario è stato docente di museologia per 25 anni, a Pisa. Ho scannerizzato il racconto avendo in mente quel pomeriggio di poche settimane prima quando in casa nostra, qui a Firenze, lesse, a Paola, Serena e sottoscritto il primo dei racconti che ora trovo nel libro da cui ho elettronicamente tratto questo e cioè:
Mario Bucci, Lo sciopero degli angeli e altre storie particolari. Ed. Archeoclub d’Italia – Sede di Cupra Marittima. Luglio 2004. Gli amici dell’Archeoclub di Cupra non me ne vorranno per questa piccola manomissione del copyright. Nel caso sono sicuro che Serena (Grazzini-Bucci) si farà mia mallevadrice presso di loro. Buona lettura.


Lo sciopero degli angeli


L'ultimo gruppo di turisti era uscito da poco, tra discorsi incrociati e risatine soffocate, come fossero liberi finalmente, finita la lunga lezione. L'ultimo visitatore, dopo una carezza furtiva al trono dorato di una Madonna, di nascosto al custode distratto, si era avviato con gli altri verso l'uscita. Dopo tanto brusio e confusione di linguaggi diversi, dopo l'ordine stentoreo della guida, il silenzio pesante, greve, ovattato, è piombato nelle sale del grande museo. Le luci si sono spente d'un tratto. Si sono sentite chiaramente chiudersi le serrature complesse dei vari cancelli; si sono accese le piccole luci rosse con le spie degli allarmi innestati.
Ma la notte che stava per arrivare non era, non doveva essere uguale alle altre; era l'inizio di una notte tutta speciale. Nell'aria restavano ancora le tracce dei comandi perentori delle guide, i loro commenti stereotipi, le osservazioni ridicole, ovvie; lo strusciare dei piedi era fInito da poco e nell'aria restava il sentore speciale, da bagno, di creme e oli protettivi misti al sudore naturale dei corpi, caratteristico di questo tipo di "greggi" stagionali.
Nell'immobile panorama dei grandi dipinti, appesi in ordine sulle pareti, in lunga teoria, qualcosa iniziò a fermentare, dapprima impercettibilmente, poi via via in modo più sensibile. Il movimento cominciò dai piedi. I piedi, coperti o meno da vesti color pastello, bordate da ricami floreali, da ghirigori preziosi, hanno cominciato a vibrare, a pulsare, tornati vivi, animati da una nuova energia che veniva da dentro, senza possibilità di smorzarsi, tornare alla quiete. I piedi finalmente si sono spostati e sono scesi sui gradini dorati dei troni, sui quali sedeva da secoli una Madonna, i Santi Martiri del ricco Olimpo cristiano. Sono stati i piedi che hanno guidato tutta una folla di personaggi; sono loro che hanno dato l'avvio e il comando; le vesti, i grandi mantelli, le armature hanno obbedito.
Su in alto, anche gli angeli, sempre dorati e sorridenti, gli angeli reggicortina con le mani stanche e gli occhi rivolti da sempre alla Madonna, saltando da una nuvola all'altra, attaccandosi ai filamenti di stelle, sempre più giù, di tendaggio in tendaggio, di gradino in gradino, sono arrivati al limito della cornice, e con un balzo sono saltati sul pavimento. Un altro gruppo di angeli ha scavalcato le nuvolette di bambagia del loro cielo; con lu polle delicata dei loro piedini rotondi, profumata d'incenso, hanno sfio1'11\0 Ic mattonelle anonime della sala, sulla terra di tutti i mortali, inquinata da scarpe maleodoranti, su quel pavimento che mandava un vago odore di detersivo, profumato di acacia e di pino.
Anche i Santi, più lenti, sono discesi, slittando sui piani inclinati dei quadri che li contenevano, che li bloccavano da secoli; si sono guardati curiosi, assetati di novità, affamati di aria, di vento, di pioggia. Si sono mossi sicuramente determinati; si sono svegliati a un tratto perché qualcosa _ scattato nella loro secolare pazienza, qualcosa che ha incrinato la loro fiducia, le loro più segrete convinzioni. Non si sa se l'evento, così straordinario e fuori dall'ordine stabilito delle cose, era da considerarsi come una liberazione, tanto desiderata quanto proibita, e negativa, forse stridente, poco in sintonia con la classe del loro rango. Si sono fermati, scendendo, al bordo delle cornici, come fossero al bordo di una piscina e fossero incerti di lanciarsi, tuffarsi in una avventura, in una dimensione ancora sconosciuta, che poteva turbarli.
Poi, dopo qualche minuto di sospensione, dopo il movimento, sono nate le voci, sono rimbalzati i richiami, prima timidi, incerti, poi sempre più chiari e decisi; da un quadro all'altro, come gruppi di gitanti posti a diversa altezza di una vallata, di una collina. Il greve silenzio, il religioso, silenzioso, l'immobile silenzio del museo si è costellato di voci, di grida, di comandi, come il teatro di una battaglia; e il tono era sempre più alto, pii. pl1rentorio, le voci sempre più libere e disordinate. Si è arrivati al tumulto, un chiasso incredibile, come quello delle scolaresche all'uscita dalla scuola, dopo le lunghe ore di lezione. Si è formata un'atmosfera che sembrava quella di certi comizi politici, dove viene a mancare la misura e il contegno.
 I gruppi disordinati dei Santi, dei Martiri, degli angeli saltellanti, dei guerrieri decisi, sferraglianti, le folle dapprima estatiche a guardare un miracolo, sulla tela dell'antico dipinto, catalogato, etichettato, inchiodato sul muro, sciamavano per le scale sontuose dell'edificio come i soldati in libera uscita. E tutti andavano verso lo spazio del chiostro, che fa da fulcro al museo, alle celle del vecchio convento; quel chiostro che ha ascoltato per secoli solo preghiere e litanie. '
Lo sciame dei giovani inanellati di qualche antica festa, dai boccoli d'oro sulle spalle, erano felici di toccare finalmente coi piedi nudi l'erba fresca del prato, come un tappeto vivo nel centro del chiostro. Dopo tanta "erbetta" raffinata, dipinta con infinita pazienza, stelo dopo stelo, dal pennello dell'antico Maestro, erano tutti incantati dalle semplici piccole margherite vere, fiorite sul prato come un miracolo; margheritine morbide e dense di rugiada, mentre i piedi dei personaggi avevano sfiorato, senza calpestarli, i fiorellini preziosi, distillati da pennelli pazienti, copiati da pagine di un antico erbario conservato nella biblioteca di qualche convento.
Tutti sono accorsi, grandi e piccini, uomini e donne, verso gli spicchi di prato, verso il pozzo al centro del chiostro. Dandosi le spinte, curiosi, per farsi largo e guardare dietro la griglia di ferro, l'acqua che luccica sul fondo e manda barbagli, cercando di vedere riflessa, un po' compiaciuti, la loro immagine.
Sono arrivati i pastori insieme alle pecore delle varie "Natività", felici di stendersi, felici di brucare le pecore, col muso affondato nel verde. I pastori che avevano dei cestini con dentro i doni per il Bambinello hanno consumato sul prato una merenda, liberando una coppia di colombe e dando la frutta a chi stava vicino. Tutti a godersi quel pezzo di natura stillante, fresca, sotto un cielo di stelle primaverili. Anche i guerrieri si sono sbracati sull'erba, liberandosi delle armature sferraglianti, hanno posato gli scudi e le lance mentre qualcuno, smanioso, ha iniziato a sciogliersi i muscoli, fingendo duelli e schermaglie sotto alloggiato.
Un'incredibile confusione, un accorrere di uomini e di animali felici di sgranchirsi muscoli e giunture. Si sono anche viste le lepri saltare da un capitel1o all'altro, scappate a una grande caccia dipinta, mentre i cani, usciti dal bosco, sono venuti a fare i bisogni sull'angolo di un sarcofago, proprio quello che un tempo proteggeva il corpo prezioso di un santo. Le rarfal1c, 1iberate dalla tela, si scrostavano la vernice e la polvere svolazzando fra le figure di marmo, tra i grandi Profeti e le Sibille che stavano in ordine sparso sotto alle arcate.


In questo piccolo Eden sono venuti anche tre cammelli che hanno scaricati i Re Magi, e si facevano carezze col muso, sbavando dalla contentezza. A un tratto la folla si è divisa, ha lasciato passare una donna che voleva raggiungere il pozzo; era la Samaritana, felice di toccare con mano un pozzo vero, di bianco marmo lucente. Ma aspettava inutilmente l'arrivo di un Cristo che non veniva, che non poteva venire.
Se qualcuno, dopo avere goduto di questa allegra invasione, di questa fusto sa ribel1ione, avesse risalito l'ampio scalone dove stavano adesso solo delle celebri coppie, Adamo e Eva, Paolo e Francesca, Ettore e Andromaca, dandosi casti, commoventi bacetti, questo qualcuno avrebbe trovato le grandi sale di nuovo tuffate nel completo silenzio, abbandonate com’erano da quasi tutti. Le Madonne sul trono erano rimaste al loro posto, malinconiche e quasi sfiorate dalla tristezza, senza la compagnia degli angeli, dei Santi, dei committenti, sole anche perché il Bambino, il divino Bambino era scappato tra i primi, insieme alle pecore e ai pastori, a far ruzzoloni sul prato. Ed erano rimasti dentro la stalla, insieme alla Madonna e a San Giuseppe, il bove e l'asinello, che non potevano in nessun modo abbandonare la loro posizione, continuando a riscaldare col fiato la culla e la paglia rimaste vuote.
Non si era mosso il Cristo dell'ultima cena, rimasto solo al tavolo cosparso di piatti e bicchieri. Solo Giuda sedeva ancora dalla parte opposta,ma con Giuda non. era possibile, in nessun modo, stabilire un colloquio, un dialogo qualunque. Non si erano mossi i Cristi inchiodati alla croce, dolenti e muti, nei loro corpi sfiniti, personaggi che non potevano evadere. partecipare in qualche modo a questa sorta di sciopero generale. I Cristi, le  Sante Madonne, i Padri Eterni restavano "al pezzo", e San Giuseppe continuava a guardare, incantato, in direzione di quel gomitolo di carne rosa che stava prima nella culla; guardava e aspettava che gli altri tornassero: erano un poco smarriti in questa solitudine, in questo silenzio, con tante voci, tante risate e cori che arrivavano dall'esterno, come attutiti e lontani.
Le sale del museo sembravano uno strano acquario o lo scenario di un’opera senza le comparse, senza la musica. Nell'attesa, dall'occhio di Cristo è scesa una lacrima, una lacrima vera, nel silenzio.
 Qualcuno è venuto a mettere fieno fresco nelle mangiatoie dell'asino e del bove, qualcuno è venuto ai piedi del Cristo crocefisso e ha asciugato il sudore, le gocce di sangue che sgorgano dalla corona di spine; l’ha fatto dolcemente, per non fare male, con gesto amoroso e consolatorio. Alcune donne sono tornate nelle stanze di qualche Natività, ambientate nel ricco palazzo di un mercante del Quattrocento, per aprire i cassoni, quelli nuziali delle fanciulle che andavano a marito. Le donne, le fanciulle, curiose, tiravano fuori le vesti, le sete fruscianti, i mantelli, i pizzi rimasti da secoli chiusi, ripiegati, dentro alle stanze dipinte con storie allegre, colorite. La curiosità è stata più forte di qualsiasi cosa, anche del desiderio insopprimibile di libertà.
 Nello spazio del chiostro, intanto, i gruppi di uomini e bestie, di sacri e profani, ricordano le comparse disordinate sorprese durante 1'ora della siesta, del break di qualche opera lirica, di qualche film in costume. Ma il contegno di questi personaggi è diverso, più convinto, profondo, più vero.
Ci si chiede allora quale sia stata la molla, la prima scintilla accesa improvvisamente in un giorno, anzi, meglio, in una notte che era, o sembrava, uguale alle altre, nella monotonia del tempo che spesso si ferma, si mummifica, invece di scorrere come dovrebbe. Perché a un certo momento quei piedi si sono mossi, schiodati dai posti in cui era fissati per sempre? La vera causa, forse, viene dal museo, dal luogo stesso che le contiene, queste persone, che dovrebbe riuscire a conservarle vive, senza riuscire a operare il miracolo.
A un certo momento li hanno strappati dalle chiese, dove i fedeli li guardavano con occhi incantati, e pregavano di fronte a loro, perché erano i Santi, i Profeti. Li hanno rubati dentro ai palazzi dove continuavano a vivere insieme ai familiari e agli eredi che li riconoscevano come persone amate, di famiglia. Sono la Storia, quella dei grandi personaggi, nel bene e nel male, che continuano a vivere sotto forma di favola. Ma lo favole, Il volte ingenue, spesso crudeli e terribili, vanno cantate e recitate con sorriso o con il grido della tragedia, nel luogo adatto, nel momento giusto: perché le favole sono vere. Le belve parlavano, ammansite; nemici terribili che si inginocchiavano di fronte agli Dei. I ritratti dei "signori". dei tiranni d'un tempo, stanno accanto ai ritratti dei poveri, degli infelici, quelli del tempo passato e quelli di oggi. Stavano sulle pareti palazzi, tappezzati di velluto e di seta, con la musica vera di commento: il principe, la figlia del principe, e il disperato, l'innamorato senza un quattrino, vicino al boia pericoloso e all'eroe dwl momento... Sulle pareti del museo tutto è più anonimo, tutto più uniforme. Sono la "bella pittura", il gesto espressivo, il bel colore, la pennellata sfavillante; non c'è più l'odio, l'amore, la fede dei loro tempi. Colpisce soltanto la loro bellezza, sospesa a mezz'aria, l'abilità dell'artista, senza il calore delle passioni, dei sentimenti estremi, reali.
E i turisti, i visitatori dei musei, gli storici, i dottori dell'arte li toccano col dito curioso, indiscreto, li guardano al microscopio, fanno loro toilette come si fa ad un malato, ad un oggetto. Li fotografano con dei riflettori terribili, li accecano, li indagano, fanno radiografie, per capire il mistero del loro fascino, della loro magia. Sono lo spettacolo e insieme la cavia, l'esperimento. La folla, la folla viva dei personaggi a un tratto l'aveva capito.
Lo scatto era stato improvviso e generale; la folla si era svegliata dal sonno o dal dormiveglia dei secoli. Nessuno sapeva come sarebbe finita la bella rivolta, o forse tutti speravano che il miracolo potesse durare nel tempo. Ma tutti i sogni, è triste ricordarlo, finiscono all'alba.
Dopo tanto vociare e discutere, dopo gli abbracci e i cori della folla, è subentrata una fase di stanca; senza che nessuno l'avesse voluto, senza che se ne rendesse conto. È arrivato un grande senso di vuoto, di paura. Un mondo che fermentava, che brulicava fuori da quelle mura claustrali, Llil mondo dal quale erano difesi in questa specie di limbo, salvi dai turbamenti, li aspettava, con le nostre ansie terribili. Troppo caos, in questo mondo, troppi rumori, fuori dal coro celestiale.
Le voci sono cambiate in sussurri, le urla, i richiami, le espressioni forti poco a poco si sono smorzate. All'alba, nell'improvviso silenzio delle prime luci, il movimento si è acquetato, l'incrociarsi dei gesti si è composto; il brusio e la colonna sonora delle voci, dei cento linguaggi, tutto si è affievolito e, poco a poco, si è spento. L'orologio del convento, quello che un tempo suonava l'ora della preghiera, ha suonato le cinque. E’ stato un segnale. Lentamente, a ondate successive, quasi al ritmo di una musica interiore, i vari gruppi, la folla di pastori, dei guerrieri, dei santi
dai lunghi mantelli, dei Profeti dalle barbe prolisse, si sono avviati verso lo scalone, facendo a testa china la stessa strada che avevano fatto correndo, concitati, a testa alta. Animate ancora dal chiacchiericcio e dai sospiri, lo ,fanciulle dei Paradisi, le donne piangenti intorno alla morte di Sardanapalo, le suore chiuse nelle loro armature di panno grigio, sono rientrate, pressandosi le une contro le altre, appoggiandosi alla balaustra della scala, con un attimo di sosta arrivate alla porta della sala che le conteneva, ai piedi delle comici dei quadri che le aspettavano, con le grandi scenografie vuote. Sono tornate al loro posto fissato dal regista-pittore, assegnato dal loro destino di figure dipinte, inchiodate alla Storia.
Quando la lunga teoria di rientro fu esaurita e l'ultimo sussurro si è perso nell'eco delle sale vuote, è rimasto evidente sul pavimento, prima lucido e incerato, qualche filo di paglia scivolato dalla mangiatoia di una Natività, qualche sassolino ruzzolato da un Calvario, da un Golgota pietroso. È rimasta la polvere dei pretoriani, dei loro sandali sporchi di mota, venuti via da una Crocifissione, scalpitando disordinati, desiderosi di una boccata d'aria.
Una foglia di palma, un po' gualcita e accartocciata, venuta via da un Ingresso a Gerusalemme, dalle mani di un bambino di fronte a Gesù, è stata calpestata dalla folla riversata sul prato in ordine sparso. La foglia di palma era in terra, accanto a un fiocco di lana di pecora che svolazzava. Poi tutto è rientrato nell' ordine prestabilito, nella correttezza, nel rigore di sempre.
Alle sette in punto, all'apertura della mattina, con il cambio deI turni e dopo la consegna dei custodi di notte, l'addetto alle pulizie ha preso dallo stanzino assegnato, gli attrezzi particolari: spazzole, scope, cenci, barattoli vari, per fare di nuovo lucido il pavimento. Una lunga teoria di sale davanti a sé, una lunga fatica. Al primo sguardo ha notato subIto qualcosa di nuovo, di particolare, e si è fermato perplesso, interrogativo, decisamente allarmato. Uno sporco così non si era mai visto. E ha sbottato, parlando a sé stesso con la voce alta e sonora nei grandi saloni: “Ma che razza di turisti ci sono, adesso? Che razza di visitatori?... contadini?... pastori?... con tutte le pecore, il fieno della stalla! È incredibile!”.


 

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