mercoledì 18 gennaio 2006


Con Dante, prima e dopo cena


Venerdi 13 gennaio 2006


Ore 16 al Teatro della Pergola di Firenze.


ho passato la giornata in compagnia di Dante. Ancora una volta. Prima amore giovanile, ora passione senile.
In effetti sentire le parole di Brunetto Latini, maestro di vita e d'arte, e poi quelle di Cacciaguida, antenato duro, orgoglioso e intransigente, riportate dalla voce clamante di Sandro Lombardi, mio compaesano doc, in compagnia di Francesco Mazzoni, cattedra dantesca all'Università di Firenze, amico di famiglia, affabile come sempre, è veramente una boccata di cultura fresca in questo momentaneo, è una speranza, decadere di tensioni ideali e di civici costumi.
Il tema è quello dell'esilio di Dante, prima subito per necessità e poi accettato per coerenza.


Brunetto Latini prima e Cacciaguida poi profetizzano a Dante l'esilio e il trattamento che riceverà dalla sua città. In entrambi i brani torna il tema della 'fortuna' che regge il destino degli uomini a cui Dante dice di essere pronto.
L'Epistola II risale circa al 1304; sono più di due anni che Dante è in esilio e scrive ai signori Guidi di Romena, capi della parte Bianca, per fare le condoglianze per la morte del loro zio; dice che non potrà andare al funerale per la povertà che lo affligge a causa dell'esilio.
"Tre donne" è la grande canzone dell'esilio che culmina nell'affermazione dell'umana dignità del poeta' pur nel riconoscimento del desiderio di tornare in patria; ma tale ritorno dovrà essere in una patria che riconosce grandi valori morali. Questa canzone è dei primissimi tempi dell'esilio (forse del 1302) ma queste saranno le tematiche anche dell'Epistola XII del 1315.
L'Epistola XII fu scritta quando il 19 maggio 1315 fu fatto a Firenze un ribandimento generale, cioè un'amnistia nella quale venivano riammessi molti degli esiliati negli anni precedenti a patto che chiedessero perdono in Battistero con un rito pubblico. Dante, avvisato di ciò, ringrazia ma rifiuta il rientro a queste condizioni che corrisponderebbero ad una dichiarazione di colpevolezza quando invece la sua innocenza è sotto gli occhi di tutti.
In Par. XXV 1-12,  abbandonata definitivamente con l'Epistola XII la speranza di tornare a Firenze per motivi politici Dante afferma il desiderio di tornarvi per meriti letterari, incoronato poeta come autore della Commedia.

Brunetto


«Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorïoso porto,
se ben m'accorsi ne la vita bella;                          57
  e s'io non fossi sì per tempo morto,
veggendo il cielo a te così benigno,
dato t'avrei a l'opera conforto.                            60
  Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,                      63
  ti si farà, per tuo ben far, nimico;
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.                       66
  Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
gent'è avara, invidiosa e superba:
dai lor costumi fa che tu ti forbi.                         69
  La tua fortuna tanto onor ti serba,
che l'una parte e l'altra avranno fame
di te; ma lungi fia dal becco l'erba.                       72
  Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
s'alcuna surge ancora in lor letame,                        75
  in cui riviva la sementa santa
di que' Roman che vi rimaser quando
fu fatto il nido di malizia tanta».  
Inferno XV


Cacciaguida


Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l'arco de lo essilio pria saetta.                       57
  Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.


 La luce in che rideva il mio tesoro
ch'io trovai lì, si fé prima corusca,
quale a raggio di sole specchio d'oro;                      123
  indi rispuose: «Coscïenza fusca
o de la propria o de l'altrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca.                           126
  Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov'è la rogna.                        129
  Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta.                           132
  Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa d'onor poco argomento.


Paradiso XVII 



Nei primi anni dell'esilio  non era stato in grado di muoversi per arrivare in tempo al funerale di un amico e alleato potente: Alessandro, conte di Romena.
 "sono qui con voi a dolermi, insieme ai tanti suoi amici: io che cacciato dalla patria ed esule senza colpa, avevo posto in lui la speranza di poter quanto prima trovare una soluzione alle mie disavventure".
...E poi devo con voi scusarmi di fronte alla vostra discrezione per essere stato assente alle lacrimose esequie: non è stata negligenza né tanto meno ingratitudine. Questo si deve alla improvvisa povertà che mi ha causato l'esilio. Tale povertà infatti, come una perfida persecutrice, dopo avermi privato di armi e cavalli, mentre mi sforzavo con tutte le mie forze di uscirne fuori, mi ha rinchiuso nell'antro della sua prigionia e lì - fino ad ora vincendomi - mi tiene chiuso
 (Epistola II - Ai conti di Romena, per la morte di Alessandro, 1304.)


Nel Maggio 1315 gli viene offerta la possibilità di rientrare a Firenze per la festa di S.Giovanni Battista che come i fiorentini ben sanno cade il 24 Giugno, ancora oggi festa civile qui a Firenze. A Dante arrivano mille sollecitazioni, tra cui quella di un ecclesiastico ( un frate del tempo di S.Croce?).
Questa la risposta-testamento:


XII Lettera a un amico fiorentino  maggio 1315
 
 Nelle vostre lettere ricevute con l'affettuoso rispetto dovuto ho appreso con mente grata e attenta considerazione quanto il mio ritorno in patria vi sia a cura e a cuore; e perciò tanto più strettamente mi avete obbligato quanto più di rado capita che gli esuli trovino amici.  
  Ma la risposta al contenuto di quelle, anche se non sarà quale forse la pusillanimità di alcuni vorrebbe, io chiedo cordialmente che, prima di ogni giudizio, sia vagliata sotto l'esame della vostra saggezza.  
    Ecco dunque ciò che dalle lettere vostre e di mio nipote nonché di parecchi altri amici mi è stato comunicato, per l'ordinamento testé fatto a Firenze sull'assoluzione degli sbanditi: che se volessi pagare una certa quantità di denaro e volessi sopportare la vergogna dell'offerta, e potrei essere assolto e ritornare subito.  
   Nella quale assoluzione invero due cose sono risibili e mal suggerite, o padre: dico mal suggerite da coloro che tali cose hanno scritte, giacché la vostra lettera formulata con diverso discernimento e saggezza niente di ciò conteneva.
 
Estne ista revocatio gratiosa qua Dantes Alagherii revocatur ad patriam, per trilustrium fere perpessus exilium? Hocne meruit innocentia manifesta quibuslibet? hoc sudor et labor continuatus in studio?  
 È questa la grazia del richiamo con cui Dante Alighieri è richiamato in patria dopo aver patito quasi per tre lustri l'esilio? Questo ha meritato una innocenza evidente a chiunque? Questo i sudori e le fatiche continuate nello studio?  
   Lungi da un uomo familiare della filosofia una bassezza d'animo a tal punto fuor di ragione da accettare egli, quasi in ceppi, di essere offerto, a guisa di un Ciolo e di altri disgraziati
.  
Absit a viro predicante iustitiam ut perpessus iniurias, iniuriam inferentibus, velut benemerentibus, pecuniam suam solvat!   
Lungi da un uomo banditore della giustizia il pagare, dopo aver patito ingiustizie, il suo denaro agli iniqui come a benefattori.  
Non est hec via redeundi ad patriam, pater mi; sed si alia per vos ante aut deinde per alios invenitur que fame Dantisque honori non deroget, illam non lentis passibus acceptabo; quod si per nullam talem Florentia introitur, nunquam Florentiam introibo
  Non è questa la via del ritorno in patria, o padre mio; ma se una via diversa da voi prima o poi da altri si troverà che non deroghi alla fama e all'onore di Dante, quella non a lenti passi accetterò; che se non si entra a Firenze per una qualche siffatta via, a Firenze non entrerò mai.  
  Quidni? nonne solis astrorumque specula ubique conspiciam? nonne dulcissimas veritates potero speculari ubique sub celo, ni prius inglorium ymo ignominiosum populo Florentineque civitati me reddam? Quippe nec panis deficiet.
E che dunque? Forse che non vedrò dovunque la luce del sole e degli astri? Forse che non potrò meditare le dolcissime verità dovunque sotto il cielo, se prima non mi restituisca alla città, senza gloria e anzi ignominioso per il popolo fiorentino? Né certo il pane mancherà.


Segue aggiornamento del dopo cena.

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