sabato 25 febbraio 2006

Questo è un post di riflessione. Per divertirvi un po' cominciate dalla fine.



IL PUNTO

Le notizie di LiberaUscita


 

Febbraio 2006 - N° 21
  SOMMARIO

 

LE LETTERE DI AUGIAS

279 - Io, sesto figlio, benedico mia madre
280 - Tra sentimento religioso e tolleranza laica
281 - Come è precaria la tolleranza religiosa
282 - Religione e tolleranza dovrebbero coincidere
283 - Il Veneto e i volontari antiaborto in corsia

 

 ARTICOLI E LIBRI
 
284 - La strage degli innocenti – di mons. Nogaro
285 - Se il crocifisso nelle aule diventa simbolo di laicità– di F. Merlo
286 – Le voci della laicità – Autori vari
 
CONVEGNI E MANIFESTAZIONI
287 - Qualità in leniterapia – Firenze
288 - Il cristianesimo è compatibile con la democrazia? - Roma
 
NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE
289 - Presentata in Senato la petizione di LiberaUscita
290 - L’eutanasia? esiste anche nella nostra città – di M. L. Cattinari
291 - Il crocifisso nelle aule – opinioni a confronto
 
NOTIZIE DALL’ESTERO
292 - Repubblica ceca – le religioni contro l’eutanasia
293 - Olanda - sedazione palliativa
294 - Svizzera – suicidio assistito in ospedale
 
 PER SORRIDERE......
295 – Testamenti in libertà

 


 

LiberaUscita

Associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia

Sede: via Genova 24, 00184 Roma

Tel. 0647823807 – 0647885980 – fax 0648931008

Sito web: www.liberauscita.it -
email:info@liberauscita.it

 


279 - IO, SESTO FIGLIO, BENEDICO MIA MADRE – DI CORRADO AUGIAS

da: la Repubblica di domenica 5 febbraio 2006

Gentile Augias, non discuto la legge 194 sull'aborto. Lo Stato può legiferare con leggi permissive, almeno per il minor male sociale che ne deriva. Semmai ho da ridire sulla sua applicazione spesso fatta per motivi non proporzionati alla eliminazione di un essere umano. Di questo si tratta, anche se l'embrione è alle prime settimane. .

Mia madre mi ha partorito a 44 anni come sesto e ultimo figlio. Se mia madre avesse dato retta a un ginecologo di quei tempi (parlo del 1910-15) che dopo la nascita del secondo figlio le vietò gravidanze per seri problemi, ben 4 di noi non sarebbero venuti al mondo. Invece io sono nato come sesto figlio e diventato sacerdote; il penultimo è vescovo, ora in pensione; gli altri sono felicemente sposati con 4 figli a testa. I primi due figli invece sono morti giovani, uno a 19 e uno a 3 anni. Se mia mamma avesse dato retta a quel medico sarebbe rimasta senza figli.

Ci sono donne che, sostenute dalla fede in Dio, smentiscono perfino le diagnosi dei medici. Lo so che è un discorso non verificabile col metro delle scienze, resta che la fede e il rispetto della vita di cui la donna è responsabile e non proprietaria, può anche fare miracoli. La natura ha risorse inaspettate.

Abortire per la leggerezza di uno sprovveduto che mette incinta una ragazza non è giustificabile e nessuno mai me ne convincerà; tanto più che si tratta spesso di salvare la moralità «borghese» a protezione del capriccio di un ragazzotto.

Di ragazze madri ne ho conosciute tante, anche mie scolare di scuole superiori; a volte lo sapevo prima di altri dalle confidenze dei genitori. Da sacerdote, con animo paterno, le ho sempre difese dai pettegolezzi e da altri rischi, come una bocciatura se la maternità accadeva sotto esami. Una ragazza madre può andare a fronte alta; mentre chi ha eliminato il figlio, con o senza la legge 194, dovrà portarsi il peso nella coscienza per tutta la vita.

Un sacerdote - Roma - vindasc@inwind.it

Risponde Augias

Questa lettera è molto bella e ringrazio il padre gesuita che l'ha scritta. Anche il racconto delle vicende di sua madre e della sua famiglia è bello. Ma è appunto un racconto, al quale se ne potrebbero contrapporre cento altri di significato opposto, e poi cento ancora che ribadissero invece ciò che il sacerdote scrive.

Infatti non è con i racconti che si dirime questo drammatico argomento bensì con i principi. Il principio che il sacerdote qui adombra è che l'embrione è già un essere umano subito dopo la sua formazione. Questo però non è un principio di scienza e di ragione, come ripetono in coro gli scienziati, ma di fede e riguarda dunque, sia detto col massimo rispetto, coloro che a quella fede partecipano.

La ragione dice che la vita umana è diversa dalla vita animale perché l'uomo è un essere consapevole, capace di riflettere su se stesso. Sa per esempio di dover morire, che resta la più significativa delle cose che sa. Ha un sistema nervoso centrale, dunque soffre né più né meno di tanti animali superiori. Gli esseri umani però soffrono anche spiritualmente, gli animali no.

La vita umana comincia a diventare diversa, radicalmente diversa da quella di ogni altro animale superiore, quando prende coscienza di sé. Non certo quando ancora galleggia nell'utero di sua madre.

 

280 - TRA SENTIMENTO RELIGIOSO E TOLLERANZA LAICA – DI CORRADO AUGIAS

da: la Repubblica di sabato 11 febbraio 2006

Gentile Augias, in merito alla questione «libertà di satira e religioni», lei ha definito il ragionamento di Amos Oz («Per un laico la libertà d'espressione è sacra quanto la figura di Maometto per un musulmano»), più sottile di quello di Yehoshua, che non ha condiviso la pubblicazione delle vignette.

Personalmente io, laico, non credente e certo favorevole alla libertà di espressione, mi sento più vicino alla posizione di Yehoshua e di Umberto Galimberti, che su Repubblica di lunedì indica tra i principi della nostra civiltà anche l'«assoluto» rispetto della religione, in quanto «affonda le sue radici nella parte pre-razionale di ciascuno di noi».

Secondo me la laicità, affrancando l'uomo dal giogo del dogmatismo religioso, permette all'individuo innanzitutto la libertà del Dubbio, di considerare le cose da diversi punti di vista. Sotto un regime non democratico, non manca soltanto la libertà di esprimersi, manca anche la possibilità di sottrarsi al ribadirsi ottuso del pensiero dominante.

Ecco dunque come, in un periodo storico già così tanto segnato da fratture all'interno della società, l'essere laici può consentire in taluni casi un paradossale «superamento» della libertà di parola, a favore di una libertà di non-dire: in modo da non ferire altre coscienze che, in base a diversi destini, si trovano ad esprimere sensibilità diverse.

Luca Mirarchi - miro801@virgilio. it

Risponde Augias

La difficoltà di maneggiare questa tragica vicenda sta nel fatto che molte sono le opinioni possibili a seconda dell'angolo dal quale la si osserva.

Trascuro ovviamente le strumentalizzazioni volgari come ad esempio quelle dei leghisti che scoprono d'improvviso la libertà di satira dopo aver contribuito a far cacciare dalla Rai molti ottimi autori satirici.

La libertà di stampa, e di satira, è una conquista ignota al mondo islamico, conseguenza della mancata separazione tra legge divina e codice penale. E' tollerabile che, in considerazione di questo, la nostra libertà, faticosamente conquistata, ne venga ridotta? lo credo di sì. Non per il rispetto 'assoluto' della religione che fa parte della parte pre-razionale del genere umano, come sostiene l'amico Umberto Galimberti; per una ragione molto più pratica: il senso dell'opportunità politica.

In Gran Bretagna e negli Stati Uniti, paesi liberali come mai altri, si sono verificate circostanze in cui, per motivi d'interesse nazionale, il governo ha proibito la diffusione di notizie che potevano ledere l'interesse nazionale.

Casi eccezionali, ovviamente. Che però hanno rotto la regola, stabilendo l'eccezione. Anche senza arrivare al governo, sono certo che se il direttore danese di quel giornale avesse previsto la gravità delle reazioni avrebbe rinunciato a pubblicare le vignette. Il contatto ravvicinato con l'Islam mette ogni giorno a confronto due civilizzazioni, due sensibilità, due sistemi giuridici, molto diversi. Non possiamo non tenerne conto perché se la libertà di stampa è un bene, la pace è un bene ancora più grande. Un'altra cosa potremmo fare: combattere il fanatismo di casa nostra, mostrare con l'esempio che il sentimento religioso è importante e anzi sacro ma che la tolleranza laica tra le varie fedi, o mancanza di fede, è la più solida garanzia per la pacifica convivenza.

Commento. La lettera di Augias ci ricorda che non esistono diritti assoluti ed eterni, in quanto esistono le eccezioni, dettate dalla necessità di tenere conto di altri diritti. Anche il diritto di critica e la libertà di stampa, fondamenti della nostra democrazia, hanno le loro eccezioni: l'importante è che siano decise democraticamente. E ciò vale anche per l'eutanasia.(gps).

 

281 - COME È PRECARIA LA TOLLERANZA RELIGIOSA - DI CORRADO AUGIAS

da: la Repubblica di venerdì 17 febbraio 2006

Caro Augias, il 17 febbraio del 1600 un fil di fumo si levò dal rogo di Campo dei Fiori a Roma dove stava bruciando vivo Giordano Bruno, grande filosofo, considerato eretico dal tribunale della Santa Inquisizione, responsabile di innumerevoli roghi di eretici, streghe, specialmente donne e via dicendo. La Chiesa ha chiesto anni fa scusa per gli orrendi delitti commessi nel passato Fatto che evidentemente non basta a ripristinarne la credibilità. Giordano Bruno fu arso vivo dopo sette anni di carcere duro e di atroci torture e affrontò la morte con grande dignità. Fu però trattato "con rispetto" nel senso che gli fu riservato un rogo"single". In quel periodo dato il grande numero di condannati, venivano istituiti anche roghi collettivi nel senso che i condannati per risparmiare legna, venivano bruciati in roghi di tipo circolare.

Ora la Santa Inquisizione non esiste più ma credo che in Vaticano esista ancora una entità che ne ha ereditato la storia. Mi pare si chiami "Congregazione per la dottrina della fede". Alcuni però pensano che non ve ne sia più bisogno, contro gli eretici basta invitare a non andare a votare referendum scomodi. 

Alessandro Demichelis - demiche1@virgilio.it

Risponde Augias

Il fanatismo percorre il mondo, oggi come allora, la tolleranza del diverso è precaria, prevale spesso la tentazione di imporre per forza (compresa la forza della legge) il proprio credo. Il filosofo Giordano Bruno, perennemente ramingo, mai veramente accettato né dai cattolici, lui che è un domenicano dissidente ed 'eretico', né dai calvinisti o da altri riformati, si definisce 'Academico di nulla academia'. In realtà ha avuto intuizioni geniali. Nella sua teoria assimila il superamento dell'ipotesi tolemaica che metteva il sole, immobile, al centro dell'universo. Ne La cena delle ceneri delinea un universo nuovo, non si limita a porre il Sole al centro di un sistema di stelle fisse, arriva a intuire uno spazio infinito con infiniti mondi in evoluzione per un tempo infinito. Una teoria che anticipa di secoli le scoperte degli astronomi, che in sostanza rende eterno l'universo, esclude l'idea di un Dio creatore, s'avvicina semmai a quello che sarà il buddismo. Bruno esce così dal cristianesimo, lo pagherà caro. E' il cardinale Roberto Bellarmino a guidare con mano di ferro il processo contro di lui fino alla condanna a morte. Ascoltata la sentenza il filosofo pronuncia le tremende parole divenute da allora simbolo di ogni martire della libertà: «Forse con più timore pronunciate voi la sentenza contro di me, di quanto ne provi io nell'accoglierla».

Pochi anni dopo il suo martirio, nel 1609, un oscuro professore di matematica di Padova di

nome Galileo Galilei viene a sapere che in Olanda è stato inventato il cannocchiale. Ne costruisce uno, lo punta verso il cielo e scopre, attonito, che la Luna ha monti e valli, Venere ha fasi simili a quelle lunari, Giove ha quattro satelliti che gli girano attorno, Saturno presenta strane anomalie (i famosi anelli), il Sole ruota su se stesso, le costellazioni e la Via Lattea sono composte di innumerevoli stelle. Galileo ritratterà per aver salva la vita, Bruno finisce bruciato, come i suoi libri "heretici et erronei et continenti molte heresie et errori" arsi anch'essi in un secondo rogo sul sagrato di San Pietro.

 

282 - RELIGIONE E TOLLERANZA DOVREBBERO COINCIDERE – DI C. AUGIAS

da: la Repubblica di mercoledì 22 febbraio 2006

Egregio Augias, lei si è espresso giorni fa sulla precarietà della tolleranza religiosa. Sbaglia a valutare la storia con le categorie moderne di pensiero. A tutto il XVI secolo la tolleranza non era acquisita come valore politico né morale. Umanisti e filosofi come Cartesio e Spinoza, furono tra i primi a suggerire la necessità di una base comune, fondata sulla razionalità, aconfessionale e universalmente condivisibile, a garanzia di una pacifica convivenza.

Fino a quel momento la società restò medioevale, soprattutto nell'identità tra Stato ed elemento religioso. I due elementi coincidevano al punto che ogni forma di eresia veniva recepita non solo come deformazione dottrinale, ma anche come elemento di sovversione sociale. Direi in modo simile a come noi oggi percepiamo il terrorismo. Ammettere allora l'eresia, come giustificare oggi il terrorismo, significava minare alla base il fondamento della convivenza civile, la cristianità allora, la democrazia oggi.

A dimostrarlo ci sono fatti storici che mostrano come non solo la Chiesa Cattolica, ma anche le 'Chiese Riformate e gli Stati assoluti incarceravano e bruciavano i dissidenti. Tutta la società era repressiva, a parte ovviamente singoli casi illuminati dalla fede o dalla ragione.

Ciascuno faccia autocritica e giudichi se stesso e il sistema politico ed economico contemporaneo, valutando quanto ancora dell'oscuro passato permane nella modernità.

Marco di Feo


Risponde Augias

Tra i padri del moderno concetto di tolleranza il signor di Feo non cita il filosofo inglese John Locke che vorrei aggiungere essendo la sua Epistola de Tolerantia un testo fondamentale al riguardo. Locke e altri illuministi propongono il principio che nessuna fede debba essere imposta; che si possano sì guidare gli uomini verso una chiesa ma che non sia lecito forzarveli. Per togliere ogni componente (e tentazione) politica dalla fede, Locke chiude il credo religioso nella sfera intima del singolo.

Molti autori si pongono lo stesso problema perché molti hanno capito che i dissidi di natura religiosa sono difficilmente componibili e possono facilmente causare conflitti sanguinosi. Spinoza, Hobbes, Bayle, Voltaire, Erasmo, tra gli altri, cercano di individuare, e di descrivere, i limiti entro i quali il potere politico può concedere l'esercizio della libertà religiosa senza pregiudicare la pace sociale. L'idea di fondo è che la religiosità dei singoli non deve interessare lo Stato fino a quando non rappresenti un pericolo per la convivenza civile.

E' il principio cardine di ogni ordinamento laico. La libertà religiosa è a tal punto un «diritto naturale e inalienabile degli individui» da includere anche la libertà di non credere.

E' vero che acquisire il concetto di tolleranza (reciproca) è stato un processo lungo, tormentato, non ancora interamente compiuto. Ma questo dovrebbe riguardare la storia delle istituzioni mondane, non quella della chiesa. Se un re fa bruciare vivo un nemico diciamo che fa il suo mestiere di despota; ma quando la chiesa brucia vivo un eretico, che mestiere fa? Il precetto divino non dovrebbe essere uguale per tutti e sempre uguale a se stesso? E' un ben povero dio quello che fa cambiare atteggiamento ai suoi seguaci a seconda dell'orientamento dei filosofi.

 

283 - IL VENETO E I VOLONTARI ANTIABORTO IN CORSIA – DI CORRADO AUGIAS

da: la Repubblica di giovedì 23 febbraio 2006

Egregio dottor Augias, il Consiglio regionale del Veneto sta per varare una legge che prevede l'obbligo di esporre nei consultori e nei reparti di ostetricia e ginecologia, pubblici e privati, materiale informativo (fornito dai movimenti aventi come fine «l'aiuto» alle donne in difficoltà orientate ad abortire) «sui rischi sia fisici che psichici a cui si espone la donna con l'interruzione di gravidanza» e le «alternative all’aborto» (art. 1).

Gli stessi movimenti potranno entrare nei reparti di ginecologia e ostetricia, nelle sale d’aspetto e negli altri ospedali (art. 2), non si sa bene a fare cosa.

Previste sanzioni per chi dovesse negare o intralciare l'operato di questi movimenti «fino a revocare la pratica degli interventi di aborto volontario nelle strutture inadempienti» (art. 3).

In sostanza, un direttore sanitario sarebbe obbligato a diffondere materiale contenente" informazioni di carattere medico (sui rischi sia fisici che psichici) senza alcun potere/dovere di controllarne la scientificità e attendibilità e a consentire a chiunque sia accreditato come volontario l'ingresso nella struttura ospedaliera per fare più o meno ciò che vuole, senza alcun potere/dovere, analogamente, di controllare l’operato e i titoli dei «volontari».

Ho l'età per ricordarmi, all'epoca del referendum sull'aborto, che gli antiabortisti diffondevano immagini di feti al 6°mese di gravidanza affermando che erano embrioni di 3 settimane. E’ precisamente questo che ora mi attendo, se verrà loro offerta l'occasione di entrare nelle strutture ospedaliere.

Viceversa, nessuno di costoro si prenderà la briga di informare la donna che non ha i mezzi per sostenere una gravidanza e una nascita, che tutto ciò che lo stato mette a disposizione è un assegno di 282 euro per cinque mesi e talvolta qualche punto in più in graduatoria per gli alloggi popolari.

Ciò su cui queste persone dovrebbero riflettere è ben rappresentato dalle parole di una teologa brasiliana, Ivone Gebara, parole che ho sentito dal palco della manifestazione di Milano il 14 gennaio scorso: «Una società abortiva è una società che non crea le condizioni adatte per dare lavoro, salute, casa ed istruzione».

Avv. Paola Juris


Risponde Augias

La finalità di questa legge è chiara: spaventare le donne soprattutto le più umili, le meno informate, agitare spauracchi per indurle a rinunciare all'aborto. Non ci sarebbe niente di male, e anzi parecchio di bene, in una pratica del genere se i colloqui fossero puramente informativi e non terroristici, se si svolgessero con la pregiudiziale che alla fine prevarrà comunque la volontà della donna e che in alcun modo questa volontà sarà influenzata o distorta con lusinghe o minacce.

Ma per raggiungere questa finalità ci sono già i consultori e non ci sarebbe alcun bisogno di "volontari" che agiscono senza titolo.

L'altro aspetto della questione, non meno grave, è la pratica espropriazione di alcune prerogative professionali dei medici nella sede stessa di lavoro. Sarà interessante vedere se gli ordini professionali, o altre associazioni, faranno sentire la loro voce. Capisco che le elezioni possono spaventare ma questo è esattamente uno di quei casi in cui si misura il rispetto degli altri, la civiltà di una convivenza.

 

284 - LA STRAGE DEGLI INNOCENTI – DI MONS. NOGARO

Dal discorso di mons. Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, in occasione della 27° "giornata per la vita" - 6 febbraio 2006 - agenzia Adista

È ora di considerare la difesa della vita - dice il vescovo - guardando "alla strage degli innocenti, ossia ai cinque milioni di bambini che muoiono ogni anno a causa della fame, ai poveri di ogni genere sistematicamente rifiutati dalla vita. Coloro che devono continuamente chiedere il favore di vivere. Coloro che sono meno uomini, persone di scarto, perché non hanno potere contrattuale". Per questo, sostiene mons. Nogaro, l'esercizio della difesa della vita non può voltare le spalle ai poveri. E "poveri sono i lavoratori in fase di licenziamento, che diventano spettrali nella loro umiliazione; poveri sono i nomadi, vere larve dell'umanità, nel rifiuto che la società, detta civile, permanentemente loro rivolge; poveri sono gli immigrati che arrivano da noi, quando non muoiono per strada, con mille sacrifici e con tanta speranza e non trovano casa, lavoro".

In questo desolante orizzonte di miseria, il vescovo di Caserta non lesina critiche riguardo alla giustizia di una società in cui la legge non è mai uguale per tutti, in quanto condanna tossicodipendenti, prostitute, spacciatori di droga solo perché non possono pagarsi un avvocato che li difenda. E li tiene in galera, "in strutture insufficienti e insalubri", negando loro, attraverso l'amnistia, un atto di doverosa clemenza.

Oltre ai poveri crocifissi, Nogaro nel suo discorso non dimentica anche i "popoli crocifissi", falcidiati dalla fame, dal debito estero e dall'impossibilità di promuovere un reale sviluppo interno. E dalla guerra, che nel nostro Paese oggi viene avallata, se non addirittura considerata necessaria, nella forma della guerra preventiva, "che rappresenta il programma della distruzione degli essere umani e della vita".

"Non si dimentichi - continua mons. Nogaro - che la storia è segnata dal conflitto teologale tra il Dio della vita, che ama la vita, e gli idoli della vita (potere - successo - ricchezza), che esigono sempre più vittime per sopravvivere. Quando la vittima diventa una ragione della storia, si fa strada quella cultura della morte, che permette ogni menzogna e ogni mistificazione. Allora, vengono chiamate operazioni umanitarie le guerre preventive, perché hanno la funzione di esportare democrazia e libertà; vengono dette missioni di pace i più disparati generi di invasione armata".

"La menzogna è sconvolgente quando riesce a cambiare anche le categorie del vivere sociale: perché denunciare il terrorismo come male fine a se stesso, quando normalmente esso è reazione ad uno stato di violenza? È sempre mostruoso, ma spesso è un male procurato".

Infine, l'attenzione del vescovo si sposta anche sulla recente approvazione, da parte del Parlamento, della legge che consente la difesa armata. Un provvedimento, denuncia Nogaro, che "istiga alla violenza privata" e che, legittimando l'uso delle armi, "corrompe la civiltà, la cultura, ma soprattutto uccide l'anima".

 

285 - SE IL CROCIFISSO NELLE AULE DIVENTA SIMBOLO DI LAICITÀ– DI F. MERLO

da: la Repubblica di giovedì 16 febbraio 2006

Con una sentenza che avrebbe entusiasmato Gorgia da Lentini, il Consiglio di stato ha alambiccato che il crocifisso è simbolo di laicità, è cifra dello Stato laico, e che, dunque, non come oggetto di culto, ma proprio per educare ai valori della laicità, deve restare appeso alle pareti delle scuole. Ebbene, il Consiglio di Stato perdoni l´impertinenza, ma sentenziare che Cristo è laico equivale a stabilire che l´asino vola. L´uguaglianza tra «A» e «non A» è infatti una violazione del principio identitario che nessun disagio storico può giustificare.

È vero che non era facile il compito degli illustri magistrati dell´Organo di appello della giustizia amministrativa. E chiunque, nei loro panni, sarebbe stato costretto a ricorrere a qualche artifizio per difendere l´identità italiana senza offendere la laicità dello Stato. Mai però avremmo immaginato che il Consiglio di Stato avrebbe espresso questo epocale malessere del borgo natio che si sente assediato, confezionando una sentenza che appartiene all´improntitudine della sofistica e non alla nobiltà della giurisprudenza.

Nella sussiegosa e declamatoria asserzione che la croce è il simbolo dei «valori che delineano la laicità nell´attuale ordinamento dello Stato» c´è infatti la più sprovvedutamente autorevole celebrazione del paradosso, dell´identità dei contrari. Neppure le parallele convergenti di Moro reggono il confronto. In politica infatti può ancora passare per tollerabile arguzia intellettuale l´idea che il bianco sia nero. Ma il Diritto non ammette il tartufismo, e nessun giudice può trasformare un simbolo religioso nel suo contrario. È come se la Cassazione stabilisse che a datare da oggi 16 febbraio 2006 il guelfo è ghibellino. O, per essere ancora più chiari, che il Milan è l´Inter: solo da Biscardi è ammessa la mescolanza del latte con l´aceto. Non si tratta qui di contestare la decisione di non rimuovere il crocifisso dal muro di una scuola media o di un tribunale, o di un qualsiasi ufficio pubblico.

La materia è vitalmente controversa anche per chi, come noi, senza acrimonia, senza scuotere l´Olimpo, pacatamente e devotamente preferirebbe che le religioni non stessero sui muri ma nei cuori. Ed è ovvio che sarebbe questa la soluzione laica del problema.

Ma in un´Italia che per mille ragioni non è completamente laica, e quindi per mille ragioni è graziosamente religiosa; in un´Italia moderata dal punto di vista laico e non fanatica dal punto di vista religioso, il problema va sdrammatizzato evitando che clericali e anticlericali si affrontino con l´oltranzismo normativista.

Anche noi laici pensiamo che davvero il crocifisso è un simbolo inseparabile dai nostri pensieri e dai nostri più profondi sentimenti, che c´è una identità tra noi e l´immagine di Cristo, che il crocifisso è il profilo antropologico dell´Occidente. Poco ci interessa di stabilire la verità storica del Cristo, mentre ci piace tutta l´iconologia cristiana, ci piacciono la sua barba e i suoi capelli, abbiamo introiettato i suoi occhi e le sue mani.

Ciascuno di noi, non importa se ateo o credente, è come una sindone: si porta dentro l´impronta fortemente marcata della faccia di Cristo. Ma anche alla maggioranza dei cattolici italiani piacciono i papi pacati. La religione italiana non è un randello ma un ramoscello, non coltiva sogni revanscisti alla Ruini. La religione in Italia è come il colore degli occhi, un dato naturale sul quale non ci si interroga, e con il quale si convive e si convive bene.

Quindi anche sul crocifisso bisognerebbe agire con la civiltà cortese, e in certi casi staccare dal muro e in altri casi lasciare sul muro, perché a volte togliere offende più che mettere.

Perciò alla fine proprio questa odierna sentenza del Consiglio di Stato, che sembra fatta apposta per irritare e stupidamente offendere i credenti di altre religioni, dimostra quanto sia ridicolo misurarsi con il crocifisso sul piano normativo. Dall´amplesso di lex e crux nascono sempre mostriciattoli ridicoli.

E tuttavia altre sentenze verranno, altri pasticci ci aspettano. Siamo troppo abituati alla stagionalità della giustizia e al suo piegarsi ai venti ideologici per farci illusioni: la battaglia dei crocifissi è appena cominciata. Anche se è sicuro che, almeno nelle motivazioni, mai altri giudici riusciranno a eguagliare la bizzarria retorica di questi cinque magistrati del Consiglio di Stato che per lasciare Cristo sul muro di una scuola media di Abano Terme hanno sottratto Cristo a Cristo riducendolo a guardia di una identità territoriale.

Rileggetela questa sentenza del Consiglio di Stato: somiglia a un articolo del Foglio di Giuliano Ferrara, ma senza il ghigno sardonico e sfacciato dell´intelligenza e della provocazione: un articolo di quelli non riusciti.

Con i giochi di parola e con i barocchismi concettuali infatti non si emanano sentenze. Si sparano sentenze.

 

286 - LE VOCI DELLA LAICITÀ – AUTORI VARI

Nel quadro delle manifestazioni svoltesi a Roma dal 9 al 19 febbraio 2006 denominate “Roma reale, Roma plurale – Laicità: tutela e garanzia della diversità”, iniziativa patrocinata dal Comune di Roma, politiche della multietnicità, è stato pubblicato il libro “Le voci della laicità”. Si tratta di un evento importante, in quanto riunisce (credo per la prima volta in Italia) le varie associazioni laiche operanti nella capitale, le quali si sono assunte l’incarico di redarre insieme il libro, fornendo ciascuna un contributo correlato all’attività svolta.

LiberaUscita ha collaborato con il Presidente Fornari, il quale ha scritto il “pezzo” sull’eutanasia, e con il socio onorario prof. Valerio Pocar, che ha trattato il testamento biologico. Ecco l’indice del libro:

Presentazione. Ascoltare le voci, di Franca Eckert Coen

Introduzione. La laicità in Italia, oggi, di Sergio Lariccia

Concordato I. Il Concordato del 1984, di Mario Alighiero Manacorda

Concordato II. Il problema Concordato, di Federico Coen

Definizioni. Laicismo e laicità, di Felice Mill Colorni

Discriminazioni. La giustificazione religiosa delle discriminazioni, di Alberto Buttaglieri

Donne. Laiche per amore o per forza, di Lidia Campagnano

Educazione. Multiculturalità sinonimo di laicità?, di Antonia Baraldi Sani

Europa. La laicità delle istituzioni europee, di Vera Pegna

Eutanasia. A favore o anche contro, ma senza ideologismi, di Giancarlo Fornari

Famiglia. La famiglia, rendita eterna del Vaticano?, di Alessandro Cardente

Finanziamenti alla religione. I mercanti nel tempio, di Mario Staderini

Libertà religiosa. Libertà nella religione e dalla religione, di Fabrizia Patanè

Memoria storica I. 1948-1949: Resistenza laica, di Libero Pesce e Anna Maria Augugliaro

Memoria storica II. Ernesto Nathan, modello di laicità, di Maria Barbalato

Memoria storica III. Dalla Resistenza alle libertà di oggi, di Fabio Galluccio

Modelli. La laicità tra integrazione e intese, di Giulio Ercolessi

Omosessualità. Contro natura, ovvero la questione vista da occhi laici, di A. Maccarrone

Procreazione responsabile. L’esigenza di moderne politiche sociali, di Enzo Spinelli

Relativismo. A noi piacciono gli errori ridicoli, di Maurizio Fumo

Ricerca scientifica. Libertà e autonomia della scienza, di Carlo Flamigni

Ritualità. Cerimonie laiche, di Giulio C. Vallocchia

Testamento biologico. Le ‘direttive anticipate’ e il diritto del malato all’autodeterminazione, di Valerio Pocar

Unioni civili. Il grave vuoto legislativo italiano, di Marina Zela

Breve antologia sulla laicità, di Raffaele Carcano

Guida bibliografica per ulteriori approfondimenti (1947-2005), di Sergio Lariccia

Protocollo di intesa sull’istituzione e sul funzionamento della “Consulta per la libertà di pensiero e la laicità delle istituzioni”

Elenco delle associazioni

Il libro è stato presentato la sera del 19 febbraio, a conclusione delle manifestazioni, presso la libreria Croce. Nel dibattito che ne è seguito è intervenuta anche la nostra associazione. LiberaUscita è stata altresì presente in Piazza Campo de’ Fiori nelle domeniche del 12 e 19 febbraio con un proprio banchetto presidiate da soci volontari, che ringraziamo nuovamente per la collaborazione.

 

287 - QUALITA’ IN LENITERAPIA – FIRENZE

Sabato 28 gennaio sono stata al Convegno “Qualità in Leniterapia”, organizzato dall’Istituto toscano tumori in collaborazione con la Fondazione Italiana di Leniterapia (FILE). Nel Convegno è stato presentato il progetto QUA.LE, software finanziato dalla fondazione FILE per la raccolta dei dati utili al monitoraggio della qualità dell’assistenza in cure palliative. Attualmente questo software viene utilizzato da circa 200 unità di cure palliative.

Non è semplice riassumere i lavori in quanto basati sulla proiezione di molti grafici statistici, cercherò comunque di darvi alcune informazioni.

Il dott. Alunni ha parlato dello stato attuale delle cure palliative in Toscana e in Italia in generale. La situazione attuale presenta una grande disomogeneità. La regione toscana ha individuato in ogni azienda sanitaria un referente per le cure palliative ma non sempre tutti i servizi sono stati attivati. Così, mentre a Firenze è stato raggiunto un buon livello e presto saranno funzionanti tre hospices, ed a Livorno un hospice è già funzionante con una buona integrazione con ospedale e cure domiciliari, altre realtà presentano ancora molte carenze.

Il dott. Piazza ha dato una serie di indicazioni delle necessità fondamentali:

- Necessità di allargare le cure palliative anche a patologie non oncologiche,

- Formazione specialistica universitaria dei medici di base, degli infermieri delle associazioni e degli ordini professionali,

- Informazioni ai cittadini sui servizi a cui possono accedere e consapevolezza dei loro diritti,

- Formazione di una rete assistenziale con tutte le strutture del SSN e integrazione con le ONLUS,

- Buona informazione del paziente e continuità fra terapia, dimissioni del paziente e presa in carico dell’unità cure palliative.

Il dott. Morino oltre a fare il punto sulla qualità delle cure palliative, ha fatto rilevare la necessità di collaborazione tra pubblico e privato per evitare confusione di ruoli e sovrapposizioni nonché di evitare concorrenze nell’assistenza e nella raccolta di fondi per ridurre dispersioni di energie e risorse.

Il dott. Massimo Costantini ha segnalato che in ospedale molti medici ed operatori considerano la morte del paziente una sconfitta personale e tendono a iniziare o proseguire trattamenti invasivi ed inopportuni a pazienti terminali. E’ necessario trasferire la cultura degli hospices anche nei reparti ospedalieri e avviare percorsi integrati di cure.

Guido Miccinesi ha rilevato attraverso vari grafici come un sistema di cure palliative efficienti risparmi molte giornate di ricovero ospedaliero con un vantaggio economico che potrebbe essere reinvestito.

La tavola rotonda che ne è seguita ha ricalcato gli argomenti delle relazioni.

Luisa Fioretto ha sottolineato l’importanza di coprire con le cure palliative tutto il periodo della terminalità, nel rispetto del progetto assistenziale del paziente.

Il dott. Panti ha ribadito la necessità della formazione e del coinvolgimento dei medici di base.

La realtà rappresentata al convegno era soprattutto quella della regione Toscana ma rispecchia anche quella italiana, con una maggiore presenza di centri attivati al nord ed al centro e molte carenze al sud. Talvolta esistono anche profonde differenze tra aziende sanitarie di una stessa regione.

Continuerò a seguire l’attività della Fondazione FILE anche per una mia formazione personale e cercherò di tenervi informati

Saluti

Meri Negrelli

 

288 - IL CRISTIANESIMO È’ COMPATIBILE CON LA DEMOCRAZIA? - ROMA

Lunedì 13 febbraio, presso l'Aula Magna della Facoltà valdese di teologia in Roma, Via Pietro Cossa 42, si è tenuto un interessante dibattito sul tema: “Il cristianesimo è compatibile con la democrazia? - Fede, relativismo, etica pubblica, concordato”.

Ne hanno discusso:

- mons. Rino Fisichella - Rettore della Pontificia Università Lateranense

- Maria Bonafede - Moderatore della Tavola Valdese

- Paolo Flores d'Arcais - Direttore di MicroMega.

Il dibattito si è soffermato molto sull'eutanasia, o meglio sul suicidio assistito. L'argomento è stato volutamente posto da Flores d'Arcais in quanto tocca esclusivamente la vita della persona o individuo singolo, senza incidere sui diritti di altri soggetti, persone o embrioni che siano. Sostiene, giustamente, Flores d'Arcais che in presenza di situazioni particolari, quando la vita diventa una tortura, spetta esclusivamente alla persona interessata decidere sulla propria vita. A questa tesi, condivisa dalla rappresentante della Chiesa Valdese, si è dichiarato contrario Mons. Fisichella, argomentando che la vita è un bene comune, sul quale si basa l'intera umanità e pertanto non rientra nella disponibilità della persona singola. Come si può rilevare, la tesi di Mons. Fisichella è una variante, aggiornata al luogo ed ai tempi, della tesi classica della Chiesa cattolica "la vita è un dono di Dio ed a Lui appartiene". 

In proposito, ci permettiamo di ricordare una frase tratta da “La libertà”, di Stuart Mill.

.... «Sopra se stesso, sul suo corpo, e sul suo spirito l’individuo è sovrano. Nessuno può essere costretto a fare o non fare qualche cosa per la ragione che sarebbe meglio per lui, o perché quella cosa lo renderebbe più felice, o perché nella mente dei terzi ciò sarebbe saggio od anche giusto. Le colpe puramente personali non possono dar luogo ad alcuna misura, né preventiva, né punitiva»....(gps)

 

289 - PRESENTATA IN SENATO LA PETIZIONE DI LIBERAUSCITA

Sin dal 6 aprile 2005 LiberaUscita aveva chiesto per iscritto al Presidente del Senato, Prof. Marcello Pera, un incontro per consegnargli la petizione a sostegno dell’approvazione del disegno di legge 2758, presentato al Senato il 13 febbraio 2004 dal nostro socio onorario sen. Alessandro Battisti. 

Non avendo ricevuto alcuna risposta, malgrado numerosi solleciti telefonici, ed approssimandosi lo scioglimento delle Camere, in data 6 febbraio 2006 abbiamo deciso di trasmettere via posta la petizione con le relative sottoscrizioni.

Ecco il testo della lettera di accompagno:

Al Presidente del Senato Prof. Marcello Pera

Senato della Repubblica - Palazzo Madama - Roma

Sig. Presidente,

la scrivente Associazione, in aderenza all’art. 50 della Costituzione, ha assunto l’iniziativa di sottoporre alla volontà dei cittadini una petizione al Parlamento per esporre la necessità di un provvedimento di legge che depenalizzi, anche in Italia, il ricorso all’eutanasia.

L’iniziativa trova fondamento – oltre che sul principio di autodeterminazione della persona, principio che peraltro sappiamo da Lei non condiviso – sulle convinzioni di milioni di italiani, come risulta dalle ricerche più volte condotte dall’Eurispes nei suoi “Rapporti sullo stato dell’Italia”.

La petizione è stata sottoscritta, nel corso di alcune manifestazioni pubbliche, da oltre duemila cittadini, ed è indirizzata al Senato della Repubblica, in quanto presso tale ramo del Parlamento è giacente sin dal 13 febbraio 2004 il disegno di legge n. 2758, da noi predisposto, presentato da 14 senatori (primo firmatario il sen. Alessandro Battisti) e recante “Norme per la depenalizzazione dell’eutanasia”, progetto mai sottoposto all’aula e neppure iniziato a discutere nelle competenti Commissioni.

Da circa un anno abbiamo chiesto ai suoi uffici di poter consegnare a Lei personalmente, quale Presidente dell’Istituzione, la petizione con le relative sottoscrizioni, ricevendo sempre risposte del tipo “vi faremo sapere qualcosa”.

Essendo ormai vicino lo scioglimento del Parlamento, Le trasmettiamo in allegato la documentazione raccolta. Pur sapendo che non possiamo attenderci da Lei nessun riscontro, Le chiediamo di trasmettere formalmente la petizione agli organismi competenti, affinché ne resti almeno traccia.

Nella speranza che il prossimo Parlamento possa essere incline, nelle materie di bioetica, ad ascoltare le opinioni dei cittadini italiani piuttosto che ad inchinarsi alle direttive delle gerarchie vaticane, Le inviamo distinti saluti.

Giancarlo Fornari - Presidente di LiberaUscita.

La nostra petizione è stata così regolarmente registrata, ha assunto il n° 1428 ed è stata trasmessa per competenza alle Commissioni permanenti 2° (Giustizia) e 12° (Igiene e sanità). Nella riunione pomeridiana del Senato in data 8 febbraio 2006 ne è stato dato annuncio in aula, che è stato trascritto nel resoconto stenografico della seduta. 

 

290 - L’EUTANASIA? ESISTE ANCHE NELLA NOSTRA CITTÀ – DI M. L. CATTINARI

Si riporta la lettera inviata dalla nostra responsabile per l’Emilia Romagna, Maria Laura Cattinari, al direttore della Gazzetta a seguito di una lettera pubblicata il 9 febbraio nella rubrica "La voce dei lettori".

Egregio Direttore,

La ringrazio per aver dato spazio, con la lettera pubblicata il 9 Febbraio, ad un tema così importante e ancora così poco discusso. Di eutanasia non si parla o se ne parla mal volentieri e così la disinformazione dilaga come appunto emerge chiaramente dalla lettera di cui sopra che ho letto con interesse e viva partecipazione perché affronta un problema che è umanamente e civilmente dei più rilevanti: come si muore oggi? 

Purtroppo non bene, la maggior parte di noi muore, morirà in ospedale, magari dopo un soggiorno spesso non facile in una casa protetta, questo ci dicono le statistiche. Ma gli ospedali non sono luoghi “attrezzati” per accompagnare noi morenti nel nostro ultimo viaggio. I medici sono preparati per guarire malattie non per gestire quella fase della nostra vita che è il “nostro morire” dalla quale nessuno, come ci ricorda S. Francesco, “po’ skappare”. Prepararci dunque per vivere al meglio quell’ineludibile appuntamento è cosa saggia ed opportuna.

Personalmente penso che per nascere e per morire non vi sia luogo migliore che la propria casa. Ma oggi è raro che avvenga. L’Olanda fa eccezione con il suo 30% di decessi a domicilio e con un numero ancora più alto di parti in casa. Da tempo però, anche da noi, si parla di “case di maternità” e di “hospices” dove nascita e morte siano vissute il più possibile nella gioia che generano gli affetti di cui l’essere umano si nutre come dell’aria e del cibo.

Morire con dignità non è meno importante che vivere con dignità e che cosa rende la nostra vita degna se non il senso di responsabilità con cui la conduciamo? E come esercitare la responsabilità senza la libertà di scegliere? Responsabilità verso noi stessi e verso gli altri senza i quali non siamo.

Allora si rende necessario che sia garantito per legge il rispetto della volontà del malato e del morente attraverso l’introduzione del testamento biologico (direttive anticipate di trattamento), documento nel quale io, ancora in grado di intendere e di volere declino le mie volontà circa le cure mediche e non solo che vorrò o non vorrò mi siano fatte qualora domani mi trovassi incompetente e, per tutto quanto non previsto dal documento, nomino un mio fiduciario che agirà in mia vece.

Eutanasia vuol dire “buona morte”. Le leggi olandese e belga che l’hanno resa legale nei rispettivi Paesi, consentono che nei casi di malattie terminali che provocano sofferenze insostenibili il medico di famiglia possa, dopo che un’apposita commissione abbia certificato che sussistano i requisiti, aiutare il paziente, che lo abbia personalmente e reiteratamente richiesto in piena capacità di intendere e di volere, a morire senza sofferenza, senza una lunga agonia.

Il Professor Umberto Veronesi dice che l’eutanasia è un atto di carità, dice che anche nei nostri ospedali è praticata clandestinamente. Bene, è ora che come fu per l’aborto, si esca dallo stato di clandestinità regolando per legge la materia. La libertà di poter scegliere domani l’eutanasia non toglie nulla a chi tale pratica rifiuta, non ne limita in alcun modo la libertà ma chi la rifiuta e impedisce per legge ad altri di poterla ricevere per sfuggire ad una fine per lui atroce, questi sì che limita pesantemente l’altrui libertà.

Maria Laura Cattinari

 

291 - IL CROCIFISSO NELLE AULE – OPINIONI A CONFRONTO

Riportiamo la corrispondenza intercorsa sull’argomento fra soci e simpatizzanti di LiberaUscita.

Da: LiberaUscita <associazioneliberauscita@hotmail.com>

Inviato: giovedì 16 febbraio 2006 2.35.47

Oggetto: Sentenza del Consiglio di Stato sui crocifissi nelle aule

Riportiamo qui sotto un comunicato di agenzia pubblicato sul sito internet de "la Repubblica" di ieri 15 febbraio.

SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO: "LASCIATE I CROCIFISSI NELLE AULE"

Il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche non perché sia un "suppellettile" o un "oggetto di culto", ma perché "è un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili" (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti) che hanno un'origine religiosa, ma "che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato".

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che, con un'importante e articolata sentenza, ha respinto il ricorso di una cittadina finlandese, Soile Lauti, che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla scuola media frequentata dai suoi figli ad Abano Terme in provincia di Padova.

Il Consiglio di Stato ritiene che la laicità dello Stato non è affatto intaccata dall'esposizione del crocifisso, anzi: appendere quel simbolo nelle aule, suggerisce agli scolari i valori a cui si ispira l'ordinamento costituzionale. "Il crocifisso - sottolinea il Consiglio di Stato - svolgerà una funzione simbolica educativa a prescindere dalla religione professata dagli alunni".

Secondo l'organo d'appello della giustizia amministrativa, "è evidente che in Italia il crocifisso esprime l'origine religiosa dei valori che connotano la civiltà italiana: tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione. Si tratta di valori che - prosegue la sentenza - hanno impregnato di sè tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano" e che "soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta Costituzionale".

"Il crocifisso esposto nelle aule scolastiche - riassume la sentenza - non può essere neppure equiparato ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato".

Commento. In tema di laicità dello Stato, ormai non ci meravigliamo più di nulla. Il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta di una cittadina finlandese di rimuovere il crocifisso dall'aula frequentata dai suoi figli ad Abano Terme in quanto "in Italia il crocifisso esprime l'origine religiosa dei valori che connotano la civiltà italiana".

Il massimo organo di giustizia amministrativa della Repubblica italiana, democratica e laica, conferma così il dogma già espresso da Papa Ratzinger, ossia che il diritto discende da Dio.

Il fatto che la Costituzione italiana è stata scritta da uomini, i quali hanno disposto che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (art.3), che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (art.7), che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (art. 8), che il simbolo (bandiera) della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni (art. 12), non sembrano essere ragioni sufficienti per il Consiglio di Stato per accogliere le rimostranze di coloro i quali non si riconoscono nel crocifisso.

Anzi, proprio in base ai valori che hanno motivato la sentenza (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione), sarebbe stato giusto e coerente rimuovere QUALSIASI simbolo religioso da TUTTI i luoghi pubblici. A meno che si voglia negare che il crocifisso sia il simbolo di UNA religione, che non è più l'UNICA religione dello Stato italiano. 

Cordiali saluti

Giampietro Sestini

Da: Riccardo Sani <riccardosani1@tin.it>

Inviato: giovedì 16 febbraio 2006 15.35.04

Oggetto: Sentenza del Consiglio di Stato sui crocifissi nelle aule scolastiche

Sono pienamente d’accordo col tuo commento. Ciao e buon lavoro. Riccardo.

Da: <antiglob@yahoo.it>

Inviato: giovedì 16 febbraio 2006 9.34.29

Oggetto: Commento alla sentenza sul crocifisso in aula

Questa sentenza è inconcepibile, perché non tiene conto del fatto che il nostro è uno Stato laico, che c'è stato un nuovo Concordato nel 1984 e che laici, atei, agnostici, razionalisti, liberi pensatori e credenti delle religioni diverse da quella cattolica, formano tutti insieme la maggioranza del popolo italiano.

Considero tutto questo una sopraffazione, che si somma alle numerose altre che stiamo subendo da qualche anno a questa parte.

Non sarebbe meglio se gli esponenti del variegato mondo laico e delle varie religioni presentassero un ricorso unico al Consiglio di Stato?

Siamo la maggioranza e abbiamo la ragione dalla nostra parte. Se andiamo avanti in questa lotta, non possiamo non vincere.

Ditemi il vostro parere.

Da: Gabriele Turci <gabriele.turci@poste.it>

Inviato: sabato 18 febbraio 2006 9.31.14

Oggetto: Commento alla sentenza sul crocifisso in aula

Sì, sarebbe bene pensarci (a fare una unica, decisa iniziativa legale). Tuttavia occorre anche avviare un pressing più intenso sulle contraddizioni dei cosiddetti partiti laici.

Inoltre vanno poste anche altre argomentazioni.

Le sto, in queste ore, stilando.

Ne farò avere una copia a tutti, per una nuova discussione.

Gabriele Attilio Turci

Da: Mauro <ma.p61@virgilio.it>

Inviato: giovedì 16 febbraio 2006 20.10.29

Oggetto: Commento alla sentenza sul crocifisso in aula

Concordo con te tranne che in un punto: non so se siamo la maggioranza.

Questa, come purtroppo i recenti referendum hanno dimostrato, è fatta anche di menefreghisti e qualunquisti della peggiore specie e di loro si gloriano (l'hanno fatto per i referendum) i cosiddetti difensori dei cosiddetti valori bla bla bla...

Da: Giuliano degli Antoni <lddegl@tin.it>

Inviato: sabato 18 febbraio 2006 13.08.44

Oggetto: Commento alla sentenza sul crocifisso in aula

a me personalmente importa molto poco se siamo/sono la maggioranza del popolo italiano. anzi: uno dei pilastri della democrazia laica è il rispetto delle minoranze ed è appunto in questa ottica che deve essere visto il diritto di ciascun appartenente a religione diversa, o non appartenente ad alcuna religione, di non vedere imposto il simbolo di una specifica religione. nella fattispecie quella cristiano-cattolica. la quale che io sappia ha sempre predicato l'uguaglianza, la fratellanza, la libertà, la pace, e via predicando; ma, haimè, ha anche sempre razzolato male, anzi malissimo.

non è per fare del becero anticlericalismo ma ancora adesso, ad esempio, ricordo un'immagine da un film (non ricordo più quale) in cui si vedeva un soldato spagnolo sbarcato nel nuovo mondo che, appena toccato la terraferma si inginocchiava a rendere grazie a dio: ebbene, prima di inginocchiarsi piantava la spada nella sabbia: il sole creava un'ombra sulla rena che era una croce. Sì perché non andiamo a chiedere ai discendenti dei cinquanta milioni di indigeni americani sterminati all'ombra della croce se quel simbolo ricorda loro i "saldi principi democratici che sono alla base della repubblica laica"? perchè non rileggiamo "civiltà cattolica" di fine secolo scorso, per vedere quello che pensava l'organo ufficiale dei gesuiti, e semiufficiale del papa, sugli ebrei? e poi, libertà uguaglianza e fratellanza non erano scritte anche sui tricolori dei cuginetti francesi? proprio mentre abbattevano quello "stato" del clero (ricordate? si vota per "stato" o per "testa"?) ed inventavano la repubblica laica nell'europa china, prona e baciapile dell'epoca? a me se proprio devo collegare il principio della pace,fratellanza e uguaglianza alla religione viene in mente soltanto - non certamente la cattolica postrentina - il messaggio evangelico di quella setta ebraica che, prendendo spunto dalla comunità essenica, se ne distaccò e riuscì ad imporsi come alternativa all'ortodossia ebraica. ma soltanto fino a paolo di tarso, il vero creatore della religione cristiana: che ha anche tradito negli scopi e nelle finalità....ma qui il discorso si farebbe troppo lungo.

come al solito scusate lo sfogo. ma veramente sono arrabbiato per quella sentenza. e penso che dovremmo, ma sul serio, fare qualcosa (non so cosa: bisogna chiederlo ai tecnici) perchè venga riveduta.

saluti.

giuliano degli antoni

Da: Maria Laura Cattinari <grazie-ra@tiscali.it>

Inviato: giovedì 16 febbraio 2006 20.27.35

Oggetto: Commento alla sentenza sul crocifisso in aula

sulla sentenza del Consiglio di Stato mi auguro davvero che ci si saprà organizzare per un "appello" collettivo!

mlc

Da: Giorgio Tanas <giorgio.tanas@virgilio.it>

Inviato: giovedì 16 febbraio 2006 13.47.58

Oggetto: Sentenza del Consiglio di Stato sui crocifissi nelle aule

In proposito a tale surreale sentenza del Consiglio di Stato, oggi su Repubblica è pubblicato un commento ironico e pungente di Francesco Merlo.

Ciao.

Giorgio Tanas

Da: Libera uscita <associazioneliberauscita@hotmail.com>

Inviato: giovedì 16 febbraio 2006 23.30.48

Oggetto: Sentenza crocifisso

In riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato sul crocifisso, allego l'articolo di Francesco Merlo "se il crocifisso nelle aule diventa simbolo di laicità", pubblicato su la Repubblica di oggi 16 febbraio.

Inoltre, per coloro che volessero approfondire l'argomento, allego la relazione introduttiva al Seminario di studi "la laicità crocifissa", tenuta dal prof. Stefano Ceccanti, docente di diritto di diritto pubblico comparato all'Università La Sapienza di Roma, all'indomani dell'ordinanza con la quale il TAR del Veneto aveva rimesso il ricorso della cittadina finlandese al Consiglio di Stato.

Cordiali saluti

Giampietro Sestini

(Nota. L’articolo di Francesco Merlo è riportato su questo numero de IL PUNTO, la relazione del prof. Stefano Ceccanti, alquanto estesa, può essere richiesta via email. gps)

Da: Gabriele Turci <gabriele.turci@poste.it>

Inviato: sabato 18 febbraio 2006 14.21.44

Oggetto: God we trust!

Ecco le osservazioni promesse!

Un caro saluto a tutte e tutti.

Gabriele Attilio Turci

Il preside Pasquale d¹Avolio aveva, nel novembre del 2003, affrontato con attenzione e prudenza il controverso tema del crocifisso nelle aule.

(/www.pavonerisorse.to.it/dibattiti/crocifisso/crocifisso_davolio.htm).

Egli partiva da un caso concreto, avvenuto sotto la sua dirigenza e raccontava come avesse cercato di affrontare la cosa con buon senso e spirito laico.

L¹articolo era poi una riproposizione di un suo lavoro precedente, vecchio di tre anni.

Se si guarda un po’ in giro di roba del genere se ne trova a pacchi.

E’ da parecchio, infatti, che nella scuola italiana si agita questo problema, certamente per l¹ostinata resistenza di pochi che, per formazione e carattere non amano mescolare l¹acqua col vino, ma anche e di più, perché questo è, di fatto, un problema irrisolto che denuncia, semmai, lo stato di situazione mentale e storica cui soggiace il nostro paese che accoglie, per una fatalità del destino, da altri assolutamente non invidiata, la sede papale della chiesa cristiano-cattolica.

L’ultima sentenza del Consiglio di Stato sembra, in questi giorni, voler depositare la pietra definitiva sulla questione.

Le cose non stanno affatto così. Ci sono due piani di giudizio sulla questione: uno investe l’elemento strettamente giuridico della cosa, l’altro quello pedagogico.

La Corte Costituzionale, interpellata in merito qualche tempo fa, aveva sentenziato che siccome non ci si trovava di fronte ad una legge ordinaria quanto ad un regolamento che dispone cosa mettere nelle aule, ella non poteva intervenire sulla legittimità costituzionale di una legge che non v’era.

La decisione, probabilmente, fu un vero colpo d¹astuzia, un tartufesco lavarsene le mani rilanciando la palla ai giudici amministrativi.

Cosa che, puntualmente, avvenne, ma anche in sede di Tar la cosa non fu definita e si passò all’appello al Consiglio di Stato.

Questo è organo che svolge, notoriamente, una duplice funzione: quella di consulenza agli organi di Governo e quella di arbitro negli appelli dei TAR regionali.

I suoi giudici sono anche di nomina politica, pertanto le sentenze di questo tribunale sono sempre sul crinale di una mediazione fra la supposta difesa dei diritti dell¹interesse pubblico e quella dell¹appellante privato. Il Consiglio di Stato è insomma un organo che ha funzioni consultive e funzioni giurisdizionali in ambito amministrativo. In qualità d’organo consultivo il Consiglio di Stato si esprime in merito a tutte le materie riguardanti la Pubblica Amministrazione e fa ciò attraverso il pronunciamento di "pareri" che possono essere "facoltativi" o "obbligatori".

In qualità d’organo giurisdizionale (tre sezioni) è competente a decidere nel giudizio di secondo grado (appello) in merito ai provvedimenti emessi dai Tribunali Amministrativi Regionali.

Tuttavia, scrive a questo proposito Giovanni Virga (noto docente universitario di Diritto Amministrativo): “il Giudice amministrativo è (o meglio dovrebbe essere) non solo imparziale, ma anche terzo rispetto alla contesa presa in esame; in altri termini, egli deve essere meglio della moglie di Cesare: non solo al di sopra di ogni sospetto, ma anche di nessuno, non dovendosi concedere nemmeno a Cesare. Il Giudice Amministrativo, in particolare, non può darsi carico dell’interesse pubblico (della cui tutela si occupa e si preoccupa la Pubblica Amministrazione), né deve, come quest¹ultima (qui ricordo M.S. Giannini, oltre che E. Cardi), procedere ad un raffronto tra l¹interesse pubblico primario e gli altri interessi secondari coinvolti, siano essi di natura pubblica o privata.

Egli, molto più semplicemente, deve decidere una contesa tra un privato ricorrente ed una Pubblica Amministrazione (ma non sempre, dato che in una amministrazione policentrica, qual è l’attuale, può assumere le vesti di ricorrente anche una delle tante amministrazioni pubbliche); non deve preoccuparsi di individuare quale sia l’interesse pubblico, se non correndo inevitabilmente il rischio di trasformarsi in Amministrazione e comunque di perdere la propria posizione di terzietà, che è il tratto caratteristico del Giudice.

Tutto probabilmente dipende dal carattere ambiguo e ancora del tutto non univoco della posizione giuridica azionata innanzi al Giudice Amministrativo e cioè dell¹interesse legittimo, il quale è ancora da ritenere una nebulosa del firmamento giuridico italiano, al punto che M. Nigro, in uno dei Suoi ultimi scritti, si chiedeva e ci chiedeva provocatoriamente: ma che cos'è questo interesse legittimo? In altri termini, è nello stesso momento in cui il legislatore pone determinate regole di condotta per la Pubblica Amministrazione e comunque quest¹ultime sono desumibili in via interpretativa dalle norme presenti nell’ordinamento (si pensi ad es. alla figura dell¹eccesso di potere per disparità di trattamento, desumibile dal principio generale posto dall¹art. 97 Cost.), che l¹interesse legittimo nasce e viene riconosciuto. Il Giudice Amministrativo non ha che da prendere atto del riconoscimento di tale posizione di vantaggio in capo ad un soggetto, senza preoccuparsi se la posizione di vantaggio stessa, riconosciuta in astratto, corrisponda in concreto all’interesse pubblico.

E’ forse in quest¹ottica che può spiegarsi il progressivo svuotamento delle formalità garantistiche previste dalla L. n. 241/90 ad opera di una parte della giurisprudenza. In una prospettiva di Giudice Amministrativo tutore dell’interesse pubblico, tali formalità appaiono infatti del tutto recessive rispetto all’interesse pubblico a che sia mantenuto in piedi tutto un procedimento ed il provvedimento finale (costituito, ad es. da un provvedimento ablativo).

Ma in questo modo il Giudice Amministrativo, che giustamente da sempre ha avuto la fobia di apparentarsi con la Pubblica Amministrazione (al punto di inventare, nel giudizio di ottemperanza, un commissario ad acta che costituisce la sua longa manus: sottolineo il longa), finisce forse inconsapevolmente, ma altrettanto inevitabilmente, per sostituirsi ad essa e per perdere definitivamente la sua posizione di terzietà. Con quali conseguenze per gli interessi legittimi dei semplici cittadini, è purtroppo facile immaginare”.

Questa lunga premessa non sembri eccessiva. E' estremamente importante stabilire anche il clima politico-amministrativo in cui si situa.

Di fatto non c¹è un tribunale che oggi, in Italia, osi lanciare qualche fendente alla chiesa cattolica. Il mondo accademico discute, elabora, lancia proclami, tutto sembra chiaro, poi, al dunque, i tribunali si defilano o abbozzano.

Qui, per quanto concerne noi, gli elementi poi si fanno ancora più surreali.

Un tribunale amministrativo elabora una teoria pedagogica, discetta di filosofia e distribuisce lezioni di storia.

Mirabile è il passo dove si fanno discendere i valori laici della nazione da quelli religiosi, testuale, infatti, il testo afferma: “La pretesa che lo Stato si astenga dal presentare e propugnare in un luogo educativo, attraverso un simbolo (il crocifisso), reputato idoneo allo scopo, i valori certamente laici, quantunque di origine religiosa, di cui è pervasa la società italiana e che connotano la sua Carta fondamentale, può semmai essere sostenuta nelle sedi (politiche, culturali) giudicate più appropriate, ma non in quella giurisdizionale”. E prima ancora “Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i Principi fondamentali e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano. Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell¹origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione”.

Quei quantunque di origine religiosa e la loro trascendente fondazione sono un vero capolavoro! In precedenza il Consiglio di Stato, aveva ricordato la scritta God we trust, sul dollaro Americano quale simbolo della pietas dei Padri Pellegrini.

Un¹osservazione, questa, quanto mai superficiale.

La scritta ha ben altre origini che quella della supposta pietas dei padri pellegrini!

La scritta: in God we trust (in Dio noi crediamo) è accompagnata ad una complessa simbologia esoterica direttamente mutuata dal culto gnostico e luciferino praticato dagli adepti nelle logge massoniche (A. Di Nicola, La simbologia del dollaro, Marino Solfanelli Editore, Chieti 1977), sarebbe, pertanto, doveroso che un giudice dì alto grado si chiedesse a quale dio rivolge il suo culto la religione civile e patriottica che è fondamento dello spirito americano.

Ma questa è una domanda che nessuno, nella destra cattolica e non cattolica americana vuole assolutamente farsi.

Tantomeno hanno osato i giudici del Consiglio di Stato che, non paghi, ben altro hanno dato per scontato.

Lo stesso simbolo medioevale del crocefisso diventa per loro il simbolo di supposti storici accertamenti: “In un luogo di culto il crocifisso è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso, in quanto mira a sollecitare l¹adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana. In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile”.

Si dà per acquisita la certezza storica dell¹esistenza di un fondatore di una setta religiosa, chiamato Gesù di Nazaret, morto su una croce, successivamente, per i credenti, risorto.

Ora se è ben vero che lo studio storico sulle vere origini del cristianesimo sta poco di casa nella nostra scuola tutta intessuta di santini e iconografia cattolica, tuttavia pur esiste. Forse è troppo pretendere che di ciò ne siano a conoscenza i giudici del consiglio di Stato, tuttavia l¹inconsistenza storica di Gesù di Nazaret è un dato certamente discusso, incontrovertibile per alcuni studiosi, molto dubbioso per altri.

A latere si osservi come sia interessante il fatto che la pur dimostrata inconsistenza storica del Cristo dei Vangeli non porta, sempre e necessariamente, a detrimento della fede.

Basti per tutti la testimonianza della vita e delle opere di Rudolf Bultmann che dopo aver demitizzato i vangeli, continuava ad aver fede nella parola di un Verbo che si incarna quotidianamente nella sofferenza dell’umano. Egli intendeva liberare il messaggio cristiano dalle forme di cui è esteriormente rivestito nelle Sacre Scritture affinché emergesse il significato universale sotteso alle rappresentazioni contingenti e relative della determinata civiltà che le aveva espresse.

Queste preoccupazioni sono, forse, chiacchiere inutili. Magari i giudici avevano ben presente, invece, che la scuola è, o dovrebbe essere, luogo dove il sapere si fa confronto, dove si giocano anche relazioni fra opposte tendenze, dove s¹impara a far ricerca, a mettere in gioco la crisi dell¹esistenza.

Certo, non unico spazio, ma lo spazio ufficialmente preposto al trapasso delle nozioni, al deposito della memoria.

Diverso sarebbe il caso di crocefissi o immagini sacre che abbellissero corridoi o sale delle scuole accompagnati da similari rappresentazioni di carattere profano, di tutti i tempi e di tante culture.

Giammai! Ed i giudici ben lo affermano: “Non si può però pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l¹elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell¹attuale ordinamento dello Stato”.

Hanno quindi ben presente tutto! Scelgono, tuttavia, una strada diversa, quella del crocifisso come mezzo pedagogico, strumento per indirizzare, dirigere, regolare.

Non sia mai che nella scuola di stato italiana si possa, anche minimamente, supporre o dubitare che tutta la Buona Novella sia, appunto, una dolcissima favola.

Allora via! Che tutti s¹inchinino, anche laicamente, al redentore!

La cosa, giunta a questo punto sarebbe comica, le vie d¹uscita parrebbero sempre più disperatamente ed ostinatamente chiuse.

Propongo allora una soluzione. Nella scuola italiana si fece, parecchio tempo fa, giustamente, la scelta d¹inserire nelle classi gli allievi svantaggiati, quelli che oggi sono definiti, con un linguaggio politicamente corretto diversamente abili.

Ebbene, a questi allievi noi offriamo strategie e percorsi individualizzati, talora, nei casi più gravi, anche sussidi tecnici atti a recuperare il gap evidente con i compagni.

Ora una volta accertato che il solo parlare di togliere il crocefisso urta tanto ed in modo isterico la sensibilità di tanti cattolici, possiamo anche decidere di lasciarlo su una parete, magari, perché no, aggiungendo anche la possibilità, per questi allievi, di toccarlo con mano.

Se la loro fragile devozione ha tanto bisogno di simili pratiche, perché rischiare d¹avere nelle classi bambini isterici?

Forse finirà che scopriremo che tutti gli allievi caratteriali erano soggetti che bramavano stare in stato d¹adorazione.

Celie a parte, sarà bene ribadire che per un adulto laico, che il crocifisso ci sia o meno, sul piano psicologico non fa assolutamente nessuna differenza. Oserei dire che non ne fa neppure per tante, innumerevoli schiere di bambini che, semmai, hanno ben introiettato, senza che neppure fosse scritto sull’euro, quella sì blasfema scritta (e di ciò non se ne sono accorti i signori del Consiglio di Stato) che compare, invece, sul dollaro americano.

Questa è la vera crocifissione che si opera ogni giorno nelle teste dei nostri bambini, quella crocifissione che esalta il valore del denaro, della fatuità, dei modelli infantili, di adulti rissosi e permalosi, maleducati ed intriganti che popolano l¹immaginario collettivo essendo oggi, scuola di vita, la televisione.

Spiace poi che a questi saggi del diritto sia sfuggito che nel fascistissimo e gentiliano regolamento per gli arredi scolastici, fosse indicata anche l¹effige del re, oggi del presidente della repubblica.

Anche su questa mancanza, oggettiva in tutte le aule della Repubblica, sarà bene non dolersene.

Si provi a pensare quale stillicidio d¹immoralità sarebbe se un giorno dovessimo rischiare di vedere troneggiare, sulla parete, l¹effige d¹un uomo politico cresciuto coi favori della mafia, ma con la fedina penale immacolata, grazie ad un percorso giudiziario dove le prescrizioni si sommano alle leggi ad personam.

In quel caso sarebbero, forse, tanti i docenti che correrebbero a coprire l’orrida figura con un crocefisso di un metro per due.

Gabriele Attilio Turci

 

292 - REPUBBLICA CECA – LE RELIGIONI CONTRO L’EUTANASIA

Radio Praga ha riportato che i gruppi religiosi (cristiani, ebrei, musulmani) hanno fatto fronte comune contro l’eutanasia. Si oppongono ad un paragrafo del nuovo codice penale, attualmente in discussione al Parlamento ceco. Secondo il nuovo codice, l’eutanasia non dovrebbe essere più considerata un omicidio, ma un reato specifico, punibile con un massimo di 6 anni di prigione. Questo nuovo codice penale è considerato una rivoluzione nella legislazione criminale ceca, ma è soprattutto il paragrafo sull’eutanasia a sollevare le maggiori controversie. I rappresentanti delle religioni hanno firmato tutti insieme un documento di condanna. Fra i religiosi il rabbino capo del paese ha detto che nella Germania nazista si è cominciato con i malati e si è finito con gli ebrei. Il nuovo codice è già stato approvato dalla Camera bassa e adesso deve essere approvato dal Senato e firmato dal Presidente V. Klaus. Il Presidente avrà seri problemi perché la legge non ha posto un minimo di pena per il reato di eutanasia, per cui i colpevoli potrebbero anche non essere puniti. Inoltre l’opinione pubblica dai sondaggi appare nettamente divisa a metà: 50% favorevoli e 50% contrari.(mdc)

 

293 - OLANDA - SEDAZIONE PALLIATIVA

L’Associazione medica olandese ha stabilito una guida sull’uso della sedazione per indurre il coma in un paziente terminale e lenire il suo dolore e sofferenza. Si cerca così di chiarire la differenza fra una tale sedazione, che è prodotta con sedativi come il midazolam e che la guida chiama sedazione palliativa, e l’eutanasia. La sedazione è "un normale trattamento medico", che non "accelera la morte" e che è stato non correttamente associato con "il trattamento di fine vita". E’ esplicitamente esclusa dalla sedazione la comune pratica di aumentare la dose di morfina, usata nelle cure palliative per alleviare il dolore, fino a quando il paziente perde coscienza e muore più velocemente. Questa pratica è descritta come "un’area grigia fra il sollievo del dolore e il porre fine alla vita", ma la guida considera l’uso della morfina per attuare la sedazione "un uso scorretto di questo farmaco". Le ricerche mostrano che la sedazione terminale avviene nel 10% di tutte le morti in un anno. Il Ministero della Giustizia ha richiesto che la pratica fosse regolamentata per timore che essa fosse usata per bypassare la legge sull’eutanasia. D’altronde i medici erano preoccupati dopo che uno di loro è stato perseguito per omicidio, anche se senza seguito, per avere somministrato analgesici per il dolore e un sedativo. Così il Governo ha chiesto all’associazione di formulare la guida e la commissione, incaricata di ciò, ha concluso che la sedazione non dovrebbe rientrare nella legge sull’eutanasia e i medici, che agiscono secondo la guida, non dovrebbero quindi essere perseguiti.

La sedazione palliativa è definita come "la deliberata riduzione della coscienza di un paziente nell’ultima fase della vita", al fine di lenire la sofferenza. La dose e la durata del trattamento dovrebbero "essere calibrati al grado richiesto di controllo dei sintomi". Il primo farmaco da scegliere è il midazolam, ma anche il levome-promazim o il phenorbabital possono andare bene. La guida riconosce che quasi la metà dei medici ospedalieri e un quinto dei medici generici hanno usato dosi crescenti di morfina, in parte nella speranza che il malato perdesse coscienza e morisse rapidamente. Ma considera sbagliato l’uso della morfina per questo scopo, perché, sebbene la sedazione possa avvenire come effetto collaterale, essa può anche causare convulsioni e allucinazioni. (mdc)

Commento: la situazione olandese merita di essere seguita sempre con molta attenzione. E’ evidente che c’è una certa preoccupazione sull’uso disinvolto da parte dei medici della morfina, usata sì per lenire il dolore, ma anche per accelerare la morte, quando evidentemente manca la volontà del paziente sull’eutanasia. La guida sulla sedazione palliativa, distinta da quella terminale, si preoccupa di indirizzare i medici a lenire il dolore senza accelerare la morte. Sembrerebbero distinzioni insignificanti, ma in campo etico è proprio la complessità delle situazioni a richiedere un’accentuata sottigliezza di soluzioni. Solo una visione puramente pragmatica e affrettata dei problemi porta a decisioni nette, se non addirittura drastiche. Inoltre, a mio parere, c’è una diffusa diminuzione della sensibilità etica proprio nelle persone più acculturate e più aperte alle esigenze sociali e individuali, e in quelle che agiscono nel campo della salute, largamente inteso. Per "sensibilità etica" intendo l’attitudine e l’abitudine a ragionare in chiave filosofica e morale, che non sono necessarie nell’affrontare questioni di ordine politico e sociale, ma diventano molto utili quando le problematiche sono "etiche".(mdc)

 

294 - SVIZZERA – SUICIDIO ASSISTITO IN OSPEDALE

L’ospedale universitario di Losanna ha deciso di permettere ai pazienti terminali, che non possano tornare a casa, di chiedere il suicidio assistito entro l’ospedale stesso. Non saranno i medici ospedalieri a dare l’assistenza, ma i volontari delle associazioni pro eutanasia, che già lo fanno da anni presso le case dei malati o, come fa Dignitas, nella propria sede. Fino ad ora questo non era possibile negli ospedali, solo in qualche casa di riposo per anziani era permesso. Altri ospedali hanno annunciato che seguiranno l’esempio di quello di Losanna.

Commento: come sapete, secondo me, la situazione in Svizzera è per adesso quella che maggiormente concilia l’imprescindibile rispetto per la vita umana e il riconoscimento della libertà e autodeterminazione individuali sulla propria vita e morte.(mdc)

 

295 - TESTAMENTI IN LIBERTA’

Il notaio Salvatore De Matteis ha raccolto in un libro i testi originali di molti testamenti olografi, ossia quelli scritti e sottoscritti di pugno dalla persona testante. Di tali testamenti se ne riporta alcuni, i più divertenti, tratti da “Il venerdì” di Repubblica del 17 febbraio 2006.

 

1. “Oggi 9 ottobre 1935, nel pieno delle mie facoltà mentali, dichiaro che alla mia morte desidero essere cremata anche contro il volere della Chiesa. Lascio tutti i miei beni a mio marito Domenico Piccirillo, nato a Napoli il 5 maggio. Poiché lui è analfabeta, dichiaro che lui vuole essere cremato insieme a me. Le sue ceneri saranno sparse come le mie. Se invece si farà interrare nella cappella di quella che so io, voglio che perde tutti i beni che ora gli sto lasciando e che vanno tutti a favore della parrocchia mia. Sono sicura che farà la fame perché di suo non ha mai avuto niente e non è capace di guadagnare una lira se non ci sto io dietro. Quando muore di fame e di stenti io lo aspetto per fare i conti. Emma Sereni in Piccirillo».

 

2. «La mia volontà è che mia moglie Cuozzo Antonia Maria viene interrata insieme a me anche se si rifiuta. Nicolino no, per fatti suoi, se possibile in un altro cimitero e in un altro paese, che la vicinanza è occasione di mali pensieri. Se muoro nell'invernata chiedo la creanza di interrarmi nella bara colla magliera e le mutande di lana, cappotto e la sciarpa a causa dell'artilosa deformata. Anche Cuozzo Antonia moglie dello scrivente viene colle ossa sue nei loculi, ma se ci pare di tenere troppo caldo, come sempre nella vita, può farci fare nei loculi uno, puramente due buchi di areazione. A me mi basta una coperta addosso. Così non si lamenta che Nicolino l'accontentava sempre. Gigio Ricciardi ».

 

3. «Signor notaio, signori testimoni, questa signora mesta, come una mantide religiosa, attualmente in falso lutto vedovile e che sta piangendo lacrime di cipolla, è una formidabile insospettata puttana. Si è ripassato tutto il condominio come se fosse stata una cura prescritta dal medico. Quell'altro biondino, tutto composto sullo spigolo della sedia e con le mani giunte, anagraficamente sarebbe mio figlio. Questa è una razza che a suo tempo è entrata sicuramente clandestina nell'Arca di Noè! (...) Non appena avete finito vi consiglio di sbatterli fuori e di disinfettare lo studio. Antonio Vannone».

 

4. Vincenzo Vitulazzio, di 89 anni, doveva essere fermamente convinto della resurrezione. Infatti così scrive:«Dovendo provvisoriamente morire e lasciare ogni bene della terra,decido che la mia casa di abitazione deve andare alla mia figlia femmina Giuseppina, mentre la mia casa in piazza a mio figlio Gaetano. Non so in che data risorgo e quando potrò riprendere la mia roba che mi appartiene. Ma fino a quel momento chiedo il mantenimento delle case con l’obbligo alla discendenza di non venderle perchè non voglio trovare estranei dentro casa quando risorgo e fare causa di sfratto che sono lunghe e costose».

 

5. Margherita Placido, la quale non ha mai digerito che suo marito Vincenzo sia sepolto da anni insieme alla sua prima moglie Angelina, così scrive: «Io voglio essere tumulata proprio lì, insieme a Vincenzo. Nessuna discussione dei figli di primo e di secondo letto, perché questi sono fatti nostri di defunti. Sopra la lapide esterna si deve subito aggiungere il mio nome e cognome di signorina e di sposa uguale a quello della signora Angelina, cosi la gente non dice che stanno insieme e mi hanno messo fuori dalla tresca. lo ho gli stessi diritti di lei, perciò o si fa uguale, oppure una di noi deve morire. Quando sarò scavata pure io voglio che le tre cassette restano nella nicchia come dico io: a sinistra la prima moglie, poi la cassetta mia e a destra Vincenzo. lo stando in mezzo li tengo d'occhio e non facciamo nessuno scandalo tra i defunti».

 

 

 

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