lunedì 6 febbraio 2006


Reminiscenze letterarie


6 febbraio 1778 - Zante


Il  calendario laico di Andrea Cori, che pende di fronte alla mia scrivania, mi ricorda che oggi riccorre l'anniversario della nascita di Ugo Foscolo che  accompagna tante ore di vita scolastica di studenti e prof. Come tanti nostri predecessori è morto giovane (49 anni), più giovane di Dante (56). E Mozart? E...quanti, troppi. E' per me un riflesso condizionato questo di andare a cercare il tempo di vita concesso da madre natura ai miei simili. Dipenderà dal fatto di aver visto morire il padre a 36, la madre a 49...


Anche quelli tra i passanti che si sono fermati alla terza media ricorderanno
A Zacinto


Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque


Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque


cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baci ò la sua petrosa Itaca Ulisse.


Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
     Scritto tra il 1802 e il 1803 e in quell'anno pubblicato. Il primo sentimento di questo sonetto è il dolore causato dall'esilio e dal rimpianto della propria terra insieme alla coscienza di non potervi più fare ritorno; il dolore scaturisce da una condizione di solitudine che è diventata ormai esistenziale per la mancanza di affetti duraturi che possano permettere la creazione di un focolare domestico. L'esilio apre e chiude il sonetto e la chiusura contiene quel concetto di tomba che diventerà essenziale nei Sepolcri. Zacinto è la patria ideale, che incarna le grandi illusioni dell'uomo: la bellezza, raffigurata da Venere che rese feconde le acque che la bagnano, la poesia raffigurata dal sommo poeta Omero, insieme all'esilio, cui lo stesso poeta è destinato, raffigurato da Ulisse, che però ha il privilegio di ritornare alla sua petrosa Itaca, mentre il poeta sarà sepolto fra genti straniere in una illacrimata sepoltura.


Questo è il suo ritratto, in due versioni, la prima scritta a 24 anni, la seconda a 46









Il proprio ritratto
1802

           Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,
crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,
labbro tumido acceso, e tersi denti,
capo chino, bel collo, e largo petto;

           giuste membra; vestir semplice eletto;
ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;
avverso al mondo, avversi a me gli eventi:

           talor di lingua, e spesso di man prode;
mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,
pronto, iracondo, inquieto, tenace:

           di vizi ricco e di virtù, do lode
alla ragion, ma corro ove al cor piace:
morte sol mi darà fama e riposo.

 


Il proprio ritratto
1824

           Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,
crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,
tumidi labbri ed al sorriso lenti,
capo chino, bel collo, irsuto petto;

           membra esatte; vestir semplice, eletto;
ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
sobrio, ostinato, uman, prodigo, schietto,
avverso al mondo, avversi a me gli eventi.

           Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso;
alle speranze incredulo e al timore,
il pudor mi fa vile e prode l'ira:

           cauta in me parla la ragion; ma il cuore,
ricco di vizj e di virtù, delira -
Morte, tu mi darai fama e riposo.

 



Né poteva mancare  Firenze

            A Firenze


           E tu ne' carmi avrai perenne vita
sponda che Arno saluta in suo cammino
partendo la città che del latino
nome accogliea finor l'ombra fuggita.


           Già dal tuo ponte all'onda impaurita
il papale furore e il ghibellino
mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino
del fero vate la magion si addita.


           Per me cara, felice, inclita riva
ove sovente i pie' leggiadri mosse
colei che vera al portamento Diva


           in me volgeva sue luci beate,
mentr'io sentia dai crin d'oro commosse
spirar ambrosia l'aure innamorate.


Scritto verso il 1802 ispirato dall'amore sfortunato per Isabella Roncioni che andò sposa nel 1801 al marchese Pier Antonio Bartolommei, forse già nel gennaio, quando il poeta venne a conoscenza dei patti matrimoniali tra le due famiglie; fu pubblicato nel 1802 nel «Nuovo Giornale dei Letterati»
           "Nel momento di riordinare il canzoniere in vista dell'edizione Destefanis, il poeta sentì il prevalere nel sonetto di un'ispirazione diversa da quella amorosa, un insieme di affinità che lo avvicinavano piuttosto all'omaggio A Zacinto. Come quello si regge su un'avvincente successione di immagini: le celebrazioni dei poeti hanno reso immortale questo paesaggio, questa sponda, un solco che divide la città come una ferita: vi aleggia intorno il fantasma della passata gloria latina, vi si addensano immagini di antiche lotte e di sangue tra le opposte fazioni guelfa e ghibellina, vi incombe la risentita solitudine del «fero vate»:, vi è sempre imprigionato il ricordo della sfortunata passione amorosa cantata nei sonetti IV, V, VI. Ma, per l'incanto della poesia, di tante impressioni cupe e struggenti resta un'immagine di levità, di bellezza, di sogno: l'ombra furtiva di un lontano fulgore, l'epico sgomento per il «gran sangue» versato dalle opposte schiere, la devota ammirazione del passeggero, il lieve passo della donna amata, il suo sguardo, l'aura divina che dai biondi capelli si propaga intorno. (Donatella Martinelli, in Foscolo, Sepolcri Odi Sonetti, Mondadori, Milano 1987, p. 101)
           Anche qui la donna appare incarnando la bellezza rasserenatrice, che riporta l'uomo all'armonia delle cose e del mondo.


     Leggi qui tutti i sonetti 


Immagini di Zacinto 
Viva la Grecia. In casa stiamo da tempo parlando di un viaggio a Creta.

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