venerdì 6 ottobre 2006

Mariella Maglioni

Storie di troppo




Mariella (seconda da destra) sta pronunciando le parole che puoi sentire nel file audio sotto allegato.

Da sinistra: F. Toniarini, vicesindaco di Poppi, Giuseppina Magnaldi, Anna Franca Rinaldelli, Mila Milanesi, Mariella Maglioni, Sergio Bianchini Presidente della Società della Salute del Casentino.

Ho già presentato su questo blog il libro di Mariella trascrivendone l'ultimo capitolo. E' stata una grande emozione collettiva quella che abbiamo vissuto sabato 30 settembre nel bel salone del castello di Poppi, gremito come poche volte. Le 21 donne anziane curate dall'infermiera professionale Mariella nel corso di una decina d'anni sono comparse come per miracolo sulla collina di Spoon River - Colle dei Cappuccini - e hanno parlato direttamente con la voce di Alessandra Aricò, accompagnate dal violino di Marna Fumarola, rievocate come in uno spell di magia da Mila Milanesi, proiettate in un'aura antica e mitica da Giuseppina Magnaldi. Franca Rinaldelli ha presentato il libro e presieduto la riunione. Il suo intervento lo puoi leggere qui.


L'emozione è stata grande e ben visibile sulle facce, per esempio, dei colleghi di lavoro di Mariella, anch'essi presenti con le loro interviste nel libro. E' stato bello esserci. A sigillo metto nel post alcune foto e - prima assoluta nel mio blog - il file sonoro con la voce di Mariella che conclude la serata. Chiedo scusa per i disturbi in sottofondo. Saranno migliori - tecnicamente - i prossimi files audio.

Un abbraccio a Mariella e Stefano.


Questo è l'audioMariella (dura 12' 20''  - Windows Media Player).

Queste le foto.


Scheda




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Introduzione

Questo libro racconta la storia di alcune donne che vivevano, alla fine degli anni ottanta, in una casa di riposo — anche se il termine potrebbe qui far discutere — di un piccolo paese della Toscana. Un’istituzione pubblica il cui fine dichiarato era l’accoglienza e la cura degli anziani soli, indigenti, malati, dove i livelli delle prestazioni e dei servizi erano da ritenersi — vista anche la situazione più generale — sicuramente soddisfacenti dato che vi si praticavano quelle che oggi verrebbero definite buone prassi di assistenza.

Dentro quell’istituzione io ci lavoravo come infermiera, un lavoro che avevo scelto non solo perché mi consentiva di essere economicamente indipendente, ma perché mi piaceva.

Lavoravo al piano degli anziani non autosufficienti con mansioni di assistenza diretta. Significa che, oltre a somministrare i farmaci, controllare le diete, misurare le temperature, medicare le ferite, entrando in contatto diretto con loro, li vestivo e li spogliavo, li lavavo, li imboccavo se non erano in grado di mangiare da soli, li mettevo a letto, li portavo in bagno e li accompagnavo, quando il tempo lo permetteva, a prendere una boccata d’aria.

Un lavoro facile solo in apparenza, che richiedeva competenze infermieristiche specifiche, ma anche abilità sociali ed energie psichiche e che, una volta intrapreso, ridimensionava i primi entusiasmi collocando ognuno al suo posto e dando subito una chiara idea di quella realtà.

Non era un caso che molti di noi, dopo un po’ di tempo che lavoravano lì, chiedessero di essere trasferiti.


Recensione


Due libri, un’unica grande denuncia

Spesso l’uomo moderno è stato tacciato di menefreghismo verso i deboli; spesso di miope stupidità. Difficilmente di entrambe le cose contemporaneamente. Un’eccezione è proprio rappresentata dalla problematica degli anziani. Alla crudeltà intrinseca per il loro abbandono va di fatti affiancata la deficienza prospettica dei giovani che non si rendono conto che abbandonando e dileggiando i vecchi non fanno altro che preparare – a mo’ di harakiri – un proprio tetro futuro.

Una situazione tristissima che tocca trasversalmente tutti i ceti sociali ma che si aggrava notevolmente quando, alla vecchiaia, si aggiunge un persistente stato di povertà.

Due libri, un solo obbiettivo: denunciare un ingiustificato oblio nei confronti di tutti coloro che il tempo hanno accumulato, e negli occhi dei quali si può invece sfogliare l’esperienza del vivere. Vivere che in loro la modernità vuole mettere a tacere in un assurdo boicottaggio.

Due libri che si compenetrano e si “contengono”, in quanto analizzano tale problema nel particolare e nell’universale.



Donne dai capelli bianchi e dagli occhi tristi

A farci un quadro, parziale per i soggetti analizzati ma completo nell’analisi di essi, è un’autrice che conosce tale problema nei suoi angoli più nascosti e spesso comodamente taciuti. È una situazione che padroneggia benissimo perché ha lavorato in una struttura sanitaria per anziani, a Poppi (Ar) in Toscana, e l’ha analizzata tramite interviste e diari giornalieri in cui appuntava l’amaro contesto, facendo trovare a tutto ciò spazio e collocazione in un’accurata ricerca. L’autrice in questione è Mariella Maglioni, che ha pubblicato le sue osservazioni nel libro intitolato Storie di troppo. Donne in casa di riposo (Rubbettino, pp. 172, € 10,00), in cui la sua indagine assume un carattere olistico (si dice di un insieme di cose che formano un tutt'uno ndr), data l’attenzione prestata non solo agli anziani ricoverati, ma anche a chi, come lei, vi lavorava a contatto, e cioè medici, infermieri, ausiliari e assistenti sociali.

Il testo fa parte di una collana, Altera, che si occupa di problematiche sociali, e che è diretta dalla nota sociologa di origine tedesca Renate Siebert, fortemente interessata ai mutamenti che avvengono nella società e all’alienazione che spesso provocano nei soggetti più deboli ed emarginati.

Le interviste riguardano esclusivamente le donne, e questo per un motivo preciso: «esse mostrano, fin dal primo impatto con la realtà istituzionale, di essere più esposte degli uomini agli effetti negativi che essa produce», in quanto «si trovano a dover subire una restrizione proprio nell’attività che più gli si addice, cioè la cura della casa e di tutto quello che la donna si crea nel suo ambiente perché è abituata a creare il suo spazio secondo i suoi gusti. […] L’uomo invece ha più modo di svagarsi e non ha problemi del genere perché è abituato a trovare l’ambiente e la casa organizzato da altri».



Quando gli affetti voltano le spalle

Il libro ritrae più che altro donne di ceto basso, che si sono ritrovate in una casa di riposo perché il loro bisogno di assistenza e di aiuto non poteva essere sostenuto da un reddito alquanto esiguo. Lavoratrici instancabili per una vita intera, casalinghe o cameriere nella maggior parte dei casi, sono state costrette a scegliere quel luogo come ultima tappa della vita. Costrette dalla povertà, ma anche dalla solitudine: infatti molte di loro hanno figli e parenti, che però avvertono il peso dei loro anni come eccessivo per prendersene cura e farle vivere in una situazione più ricca di calore e di amore, che non le riduca a semplici numeri in attesa della morte per lasciare il posto letto a qualche altro vecchietto sfortunato. Tale ripudio nei confronti degli anziani non si ferma al semplice sistemarli in un’istituzione che di familiare ha ben poco, ma si manifesta anche nella frequenza delle visite che in moltissimi casi sono inesistenti: «Piango disperatamente in un angolo – dice Ada A., un’anziana intervistata – Da me non viene mai nessuno e tutti lo notano».



Trattamento in blocco: quando si diventa numeri

L’autrice sottolinea come il vortice di solitudine che attanaglia le fragili vite degli anziani negli ospizi sia accentuato ulteriormente dal fatto che lì non trovano una comunità pronta ad accoglierli come vorrebbero, perché la situazione non è semplice per nessuno.

Non è semplice per i ricoverati, costretti a condividere poco spazio con sconosciuti (spesso anche labili psicologicamente), non liberi di scegliersi i propri compagni di stanza, sottoposti a cambiamenti di abitudini decise da altri e uguali per tutti.

Non è semplice per chi vi lavora, che si trova ad avere a che fare con un mondo in cui la sofferenza e la solitudine sono accompagnate da situazioni incresciose come l’incontinenza e le turbe psichiche; per non parlare del numero del personale che è molto più basso rispetto a quello richiesto: questo porta ad un lavoro sicuramente superiore (e dunque più estenuante) per ogni singolo infermiere e ausiliario, inducendo il personale spesso a soglie di sopportazione molto basse. L’autrice stessa amaramente ricorda, a tal proposito, un suo violento scontro con una ricoverata, scontro in cui lei afferma di essersi ritrovata a comportarsi come mai avrebbe voluto! Tutto ciò porta ad un clima generale di ostilità che di certo non facilita la vita quotidiana.

Una lenta e ineluttabile agonia raccontata magistralmente dalla Maglioni in queste pagine pregne di storie reali e degne di nota, perché non cadano ingiustamente nell’oblio, «perché nessuna di esse possa essere considerata una storia di troppo».

Abbandonati in un ambiente non proprio, trattati come numeri, senza la possibilità di coltivare grandi amicizie e serene convivenze, gli anziani si ritrovano a perdere ogni interesse per la vita e a non dare neanche più importanza alla conoscenza dell’ora o del giorno corrente: «Pensano: “Ma quando farà buio?”». Tutto per loro scorre allo stesso modo, fra le mura di una sistemazione che vivono come definitiva, in una lenta e rassegnata attesa della morte, perché l’unica tappa successiva ad una condizione disumana.



Per l'altro libro continua qui


Ceterum censeo North American Gang delendam esse.

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