domenica 18 marzo 2007



Un racconto di Paola (Pag. 51)


I ‘mangiari’


Il cibo è una parte importante nella giornata di noi donne, un argomento di cui si parla volentieri e con gusto, un piacere so­stitutivo che ci attutisce spesso un pensiero molesto e ci crea un gradevole senso di attesa. Con le nostre rom abbiamo mangiato insieme molte volte portando ognuna le proprie cose oppure al ristorante.

Loro prediligono la pasta al forno e comunque la pasta al sugo, me­glio se corta. Mi ricordo di quando mangiammo insieme alla casa del popolo “XXV Aprile”, era uno dei primi ‘mangiari’ da quando eravamo diventate cooperativa. Avevo davanti Scegersada e Ra­bije e vedevo che spelluzzicavano senza convinzione il loro piatto di spaghetti. Più tardi, durante il ritorno a casa, ci scambiammo qualche impressione e chiesi perché non era loro piaciuta la pasta, forse il sugo non era buono? Era cotta troppo poco?

- No, no - rispose Scegersada col tono discreto e ben educato che la distingue.

- E'  che non si sapeva come mangiare, avevo paura che sugo va tutto qua e là.

Così altre volte abbiamo preferito la pasta corta o il riso che loro cucinano magnificamente nei dolma, gustosi involtini di foglie di cavolo o di bietola, ripiene di riso e carne, o pasticci di pasta sfoglia con ricotta e spinaci, una specie di pizza bianca, come dice Scegersada, a cui da parte mia ho insegnato le polpette di carne e il patataccio che è uno sformato di patate e formaggio molto appetitoso. Ci vorrebbe anche la mortadella ma loro non mangiano maiale.

Il pane è a volte oggetto di scambio: un pane comprato, sciocco com e il nostro toscano, magari insaporito con olive o ramerino, in cambio di un pane fatto in casa, nel forno della cucina nuova acquistata un anno fa, verdolina e lucida come la voleva Leila, la figlia di Scegersada, un pane bianco e soffice, quasi brioscia­to, che mi viene offerto involto nella carta perché lo porti a casa. E ancora tiepido e offre così poca resistenza al morso che me lo mangio subito per la strada, mentre torno a casa.

Per Sabilia, che predilige le cose morbide, una volta ho prepara­to gli gnocchi di patate, un’altra volta il risotto.

- - Buono -  dice lei -  lo mangio spesso la sera, con latte. Faceva mia mamma.

Ride, come fa lei, un po’ giocherellona, un po’ accattivante. Qualche volta Sabilia è venuta a casa mia con certi wùrstel sa­poriti! Una montagna di salsicciotti scuri e ben affumicati.

-  Mi ci vorrà un anno per mangiarli tutti! -  le dico.

- Ma no, tu mangia uno al giorno, buono per la salute - ride, battendomi la mano sulla schiena e attirandomi a sé.

Zenepa invece è golosa di verdure crude.

- Io no mangia verdura cotta, solo cruda. E io: Insalata?

- No, no - risponde lei con quella voce che non ammette replica e fa un gesto con la mano, - mangio carote, cetrioli tutti interi così, come conigli. Ti ricordi?

Certo, mi ricordo di quando portai dall’orto due cetrioli piccoli e teneri e lei se li mangiò di gusto, a morsi, senza neanche la­varli.

Siamo sedute al laboratorio intorno a quattro tazze di caffè e due di tè, nel momento della pausa.

Sul vassoio c’è anche qualche pastina proveniente dalla spesa, che con una certa regolarità Leila e Angela fanno al supermer­cato, contente e orgogliose di provvedere ai bisogni della nostra piccola comunità.

In alcune occasioni abbiamo fatto dolci per i nostri “mangia­ri”. I loro non rappresentano al meglio la cucina rom. Secondo noi sono troppo unti e troppo dolci, con la pasta sfoglia che rima­ne decisamente sullo stomaco. Ma ho l’impressione, o forse la segreta speranza, che ce ne siano di più misteriosi e allettanti, che ancora non conosciamo e che loro tirano fuori soltanto in occasioni specialissime di feste particolari. Dei nostri amano le crostate ricche di marmellata casalinga e i tiramisù con quel saporino nascosto di caffè che il cucchiaino lascia in bocca. Col caffè sono maestre e lo fanno tutti i giorni alla turca, bello cor­poso e fragrante. Allora l’odore inconfondibile si diffonde per il negozio e sappiamo che è gradito a tutte nello stesso modo.



I QUADERNI DI PORTO FRANCO. nuova serie.

16. Manididonne

un racconto a più voci

donne

si incontrano,

comunicano,

progettano

un’esperienza

di integrazione




Un libro per comunicare uno stile di integrazione ed una capacità operativa al femminile: contenuti, valori e realizzazioni di donne che accettano di mettersi in gioco e di osare il futuro possibile.

dicembre2006

 
Copie della pubblicazione si possono richiedere presso:

Regione Toscana Giunta Regionale - Direzione Generale politiche formative e beni culturali

PORTO FRANCO.Toscana. Terra dei popoli e delle culture

Via G. Modena 13- 50121 Firenze

Tel. 0554384127-129-122

Fax 0554384100

Leggi anche qui. Ci trovi l'introduzione del libro, a cura di Luciana Angeloni.



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