lunedì 17 dicembre 2007

Cantico di Natale


E' la vigilia di Natale. Nelle strade di Londra, ricchi e poveri si affrettano per gli ultimi preparativi per il pranzo del giorno dopo. Tra canti natalizi, decorazioni alle finestre e grandi cortesie dovute al buonumore di quei giorni di festa, tutte le strade e tutti i palazzi sono pervasi da quell'atmosfera magica. Solo in un ufficio sembra non essere la vigilia di Natale. E' l'ufficio di Ebenezer Scrooge, il vecchio più acido, freddo, egoista, cinico e scontroso che sia mai esistito.

Dopo la morte del suo socio, Jacob Marley, Scrooge è diventato l'unico padrone della sua ditta. La sola cosa che gli interessi è accumulare più denaro possibile. Non gli interessa nient'altro. Non si cura del suo unico impiegato, il buon Bob Cratchit, padre di una numerosa famiglia, costretto a subire, per una paga misera, le angherie e la maleducazione di Scrooge, tanto taccagno da non voler spendere neanche i soldi per il carbone da mettere nel caminetto dell'ufficio, sempre freddo come una cripta. A Scrooge non interessa neanche il suo unico nipote, Fred, che, a dispetto del caratteraccio dello zio, non manca di venirlo a trovare e, ogni Natale, di invitarlo a pranzo a casa sua. Men che meno si preoccupa dei poveri della città, costretti a mendicare, a stare in lugubri prigioni a causa dei loro debiti, a morire di stenti. Meglio così, secondo il signor Scrooge, in questo modo si evita il sovraffollamento… tanto per farvi capire quanto gelo ci sia nel suo cuore. Come dice giustamente il nipote Fred, la prima vittima del terribile comportamento dello zio è proprio Scrooge stesso. Taccagno com'è, vive in una casa spoglia, con soltanto la mobilia essenziale, fredda, perché Scrooge non vuole spendere in legna e carbone, con pochi vestiti e consumando sempre lo stesso misero e solitario pasto a base di pappa d'avena. Insomma, pur essendo ricco, Scrooge vive come quei poveri che tanto disprezza, solo per poter accumulare altro denaro. Il denaro per il denaro: questa è il suo unico pensiero. Scrooge non pensa minimamente al fatto che "l'ultimo vestito è senza tasche", ossia che sta passando tutta la sua vita senza piaceri, gioie o distrazioni, solo ad accumulare denaro che, una volta morto, non potrà portare con sé. Bisogna che qualcuno glielo faccia presente, prima che sia troppo tardi, prima che la sua vita finisca senza che Scrooge l'abbia vissuta veramente.

Questo compito è affidato al fantasma del suo socio, Jacob Marley, l'unico che è stato qualcosa di simile ad un amico, da quando Scrooge ha cominciato ad accumulare denaro. La sera della vigilia di Natale, giusto sette anni dopo essere morto, lo spirito di Marley si manifesta a Scrooge. Con le buone e con le cattive, Marley cerca di convincere il suo vecchio amico a cambiare il proprio modo di comportarsi. Altrimenti, avrà lo stesso destino di Marley. Ormai fantasma, egli vaga senza pace per la terra, facendo parte di quella schiera di spettri, il cui tormento "consisteva chiaramente nel desiderio di intervenire, per fare del bene, nelle questioni umane, e nell'averne perso per sempre la possibilità". Marley annuncia a Scrooge che riceverà la visita di tre spiriti, il Fantasma del Natale Passato, il Fantasma del Natale Presente e il Fantasma del Natale Futuro. Questi tre spiriti condurranno Scrooge in un viaggio attraverso i Natali della sua vita, quelli già passati, quello che verrà quest'anno e quelli futuri. Alla fine del viaggio, l'uomo non sarà più lo Scrooge di prima…


Cantico di Natale

Charles Dickens

Traduzione di Federigo Verdinois

1843


La fine della storia


- A quanti ne siamo del mese? - disse Scrooge. - Quanto tempo sono stato tra gli Spiriti? Non lo so. Non so niente. Sono come un bambino. Non preme. Non me n'importa. Così lo fossi, bambino! Olà! eh! olà! -


Fu arrestato nelle sue effusioni dalle campane che mandavano all'aria i più lieti squilli che avesse mai uditi. Bom, bam, din, don, dan! Dan, don, din, bom, bam! Oh, che armonia, oh, che gloria!


Corse alla finestra, l'aprì, mise fuori il capo. Niente nebbia: un'aria limpida, cristallina, gioconda; un freddino salubre, pungente; un sole d'oro; un cielo di zaffiro; freschetto, non freddo; e quelle campane, così allegre, così allegre! Oh, bello, magnifico!


- Che è oggi? - gridò Scrooge ad un ragazzetto che passava con indosso gli abiti della festa e che forse s'era fermato per guardarlo.


- Eh? - fece il ragazzo spalancando la bocca dalla maraviglia.


- Che è oggi, bambino mio? - ripetè Scrooge.


- Oggi! - rispose il ragazzo. - È Natale, oggi.


- È Natale! - disse Scrooge a sé stesso. - Bravo, sono in tempo. Gli Spiriti hanno fatto ogni cosa in una notte. Possono fare quel che vogliono. Si sa. È naturale. Ohe, bambino!


- Ohè! - fece il ragazzo.


- Sai dov'è il pollaiolo, nella via appresso, alla cantonata?


- Sfido io! l'avrei da sapere, - rispose il ragazzo.


- Che ragazzo di talento! - esclamò Scrooge. - Un ragazzo non comune, perbacco! Sai se ha già venduto quel tacchinaccio che teneva ieri in mostra sospeso pel collo? non quello piccolo, no; il tacchino grosso.


- Quale? quello grosso come me? - domandò il ragazzo.


- Oh, che amore di un ragazzo - esclamò Scrooge. - È un piacere a discorrerci. Sì, proprio quello, piccino mio.


- È sempre appeso com'era.


- Sì? davvero? Ebbene, corri subito a comprarlo.


- Fossi grullo! - ribatté il ragazzo.


- No, no, - disse Scrooge, - parlo sul serio. Corri a comprarlo, e dì che lo voglio, che gli darò io l'indirizzo dove l'hanno da portare. Torna con l'uomo tu, che ti darò uno scellino. Torna in meno di cinque minuti, che ti darò mezza corona! -


Il ragazzo partì come una freccia. Ci volea una mano ben gagliarda per scoccare una freccia a quel modo.


- Lo manderò a Bob Cratchit! - borbottò Scrooge, fregandosi le mani e scoppiando dal ridere. - Non ha da sapere chi glielo manda. È due volte Tiny Tim. Uno scherzo magnifico, oh, magnifico! -


Non era ferma la mano nello scrivere l'indirizzo, ma bene o male lo scrisse, e andò giù ad aprir la porta, e per esser pronto all'arrivo del tacchino. Stando così ad aspettare, fu tratto dal guardare il picchiotto.


- Gli vorrò bene finché avrò vita! - disse carezzandolo. - Non ci avevo guardato mai. Che espressione simpatica e onesta! che bel picchiotto davvero!... Ecco il tacchino. Olà! ehi! Come state? Buon Natale! -


Era un tacchino davvero! Non si potea reggere in gambe, un uccellaccio come quello lì; le avrebbe spezzate in un minuto come bastoncelli di ceralacca.


- Perdinci! è impossibile portare cotesta roba fino a Camden Town, - disse Scrooge. - Dovete prendere una carrozzella. -


Il riso con cui disse questo, e il riso con cui pagò il tacchino, e il riso con cui pagò la carrozzella, e il riso con cui diè la mancia al ragazzo, furono soltanto sorpassati dal riso che lo prese tutto mentre si lasciava andare senza fiato sul suo seggiolone, e rise, e rise fino a che scoppiò a piangere.


Non era agevole il radersi, perché la mano gli tremava sempre; e il radersi richiede un po' di attenzione, anche quando non ballate, facendovi la barba. Ma se pure si fosse mozzato la punta del naso, vi avrebbe appiccicato un pezzo di taffettà e sarebbe stato contento come una pasqua.


Si vestì, col meglio che aveva, e uscì per la via. La gente si riversava fuori, com'egli l'avea vista con lo Spirito del Natale presente. Camminando con le mani dietro, Scrooge guardava a tutti con un sorriso di soddisfazione. Era così allegro, così irresistibile nella sua allegria, che tre o quattro capi ameni lo salutarono: "Buon giorno, signore! Buon Natale!" E Scrooge affermò spesso in seguito che di tutti i suoni giocondi uditi in vita sua, i più giocondi, senz'altro, erano stati quelli.


Non era andato lontano, quando si vide venire incontro quel signore dignitoso che era entrato il giorno prima al banco, domandando: "Scrooge e Marley, se non erro?" Si sentì una trafittura al cuore, pensando all'occhiata che quel signore gli avrebbe rivolto; ma subito vide quel che avea da fare, e lo fece.


- Mio caro signore, - disse, affrettando il passo e prendendolo per le mani. - Come state? Spero che abbiate fatto una buona giornata ieri. Molto gentile da parte vostra. Tanti auguri pel Natale, signore!


- Il signor Scrooge?


- Sì. È il mio nome. Temo che vi suoni ingrato. Permettete che vi domandi scusa. E vorreste aver la bontà...


E gli bisbigliò qualche parola all'orecchio.


- Dio misericordioso! - esclamò il signore soffocato dallo stupore. - Mio caro signor Scrooge, parlate sul serio?


- Ma sì, ma sì. Non un soldo di meno. Ci metto dentro molti arretrati, capite. Mi farete questo favore?


- Mio caro signore, - rispose l'altro stringendogli forte la mano, - io non trovo parole per una tale muni...


- Basta, basta, prego! - interruppe Scrooge. - Venite da me: Volete?


- Certamente! - esclamò il vecchio signore con tutta l'effusione della verità.


- Grazie, - disse Scrooge. - Vi sono obbligato davvero. Mille e mille grazie. Arrivederci! -


Andò in chiesa, passeggiò per le vie, guardò alla gente che andava su e giù, carezzò i bambini sul capo, interrogò i mendicanti, spiò nelle cucine, alzò gli occhi alle finestre, e trovò che ogni cosa gli potea far piacere. Non avea sognato mai che una passeggiata o altra cosa qualunque gli potesse dare tanta felicità. Verso sera, si avviò alla casa del nipote.


Passò davanti alla porta una dozzina di volte, prima di sentirsi il coraggio di salire e bussare. Ma si fece animo e bussò.


- È in casa il padrone, cara? - domandò alla ragazza. Una bella ragazza, parola d'onore.


- Signor sì.


- Dov'è, carina?


- È in sala da pranzo, signore, con la signora. Venite di qua, se vi piace, nel salottino.


- Grazie. Mi conosce, - disse Scrooge mettendo la mano sulla maniglia del tinello. - Entrerò qui, bambina mia. -


Spinse leggermente e s'insinuò col viso per l'uscio socchiuso. Marito e moglie osservavano la tavola sfarzosamente imbandita, perché cotesti giovani sposi sono meticolosi in certe materie e vogliono che tutto vada a capello.


- Fred! - disse Scrooge.


O Signore Iddio, come trasalì la nipote! Scrooge avea dimenticato pel momento di averla vista a sedere in un cantuccio co' piedi sullo sgabello, altrimenti per nulla al mondo l'avrebbe spaventata a quel modo.


- Oh povero me! - esclamò Fred, - chi è mai?


- Io, son io. Tuo zio Scrooge. Son venuto a pranzo. Mi vuoi, Fred? -


Volerlo! Poco mancò che non gli stroncasse un braccio. In capo a cinque minuti, Scrooge si trovava come a casa propria. Niente di più cordiale. E lo stesso la nipote. E lo stesso per Topper, quando arrivò. E lo stesso per la sorella pienotta, quando fece la sua entrata. E lo stesso tutti. Che amore d'una brigata, che giuochi, che accordo, che piacere!


Ma il giorno appresso si recò di buon mattino al banco, oh di buon mattino! Se gli riusciva di arrivarci prima di Bob e di rinfacciare a Bob il ritardo! Questo voleva fare, questo gli premeva.


E lo fece, sicuro che lo fece! L'orologio suonò le nove. Niente Bob. Le nove e un quarto. Niente Bob. Era in ritardo di diciotto minuti e mezzo. Scrooge se ne stava a sedere, con la porta spalancata, per vederlo a insinuarsi nella sua cisterna.


Prima d'aprir l'usciolo, Bob si avea tolto il cappello e il famoso fazzoletto. In un baleno, si trovò sullo sgabello, e si diè a scribacchiare in fretta e furia come per riafferrare le nove che erano passate.


- Ohe! - grugnì Scrooge con la solita sua voce chioccia per quanto gli riusciva di fingere. - Che vuol dir ciò? a quest'ora si viene in ufficio?


- Mi dispiace molto, signore, - rispose Bob. - Sono in ritardo.


- Siete in ritardo? - ripeté Scrooge. - Lo vedo che siete in ritardo. Favorite di qua, vi prego.


- È una volta all'anno, signore, - si scusava Bob, uscendo dalla sua cisterna. - Non accadrà più. Sono stato un po' in allegria ieri sera, signore.


- Bravo, adesso ve la do io l'allegria, disse Scrooge. - Non son più disposto a tollerare, capite. Epperò - e così dicendo balzava giù dal suo sgabello e dava a Bob una manata così forte nel panciotto da farlo indietreggiare barcollando, - epperò io vi aumento il salario! -


Bob tremò e si accostò un po' più alla riga. Ebbe un'idea momentanea di darla sulla testa a Scrooge; tenerlo saldo; chiamar gente; fargli mettere la camicia di forza.


- Buon Natale, Bob! - disse Scrooge battendogli sulla spalla con una cordialità schietta, da non si poter sbagliare. - Un Natale, Bob, molto più allegro di quanti non ve n'ho augurati per tanti anni, ragazzo mio. Vi cresco il salario e farò di tutto per assistere la vostra famiglia laboriosa, e oggi stesso, Bob, oggi stesso discuteremo i vostri affari davanti a un bel ponce fumante. Accendete i fuochi e andate subito, mio caro Bob, a comprare un'altra scatola di carboni, prima di mettere un altro solo punto sopra un i.


Scrooge fu anche più largo della sua parola. Fece quanto avea detto, e infinitamente di più; e in quanto a Tiny Tim, che non morì niente affatto, gli fu come un secondo padre. Divenne così buon amico, così buon padrone, così buon uomo, come se ne davano un tempo nella buona vecchia città, o in qualunque altra vecchia città, o paesello, o borgata nel buon mondo di una volta. Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch'egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro.


Con gli Spiriti non ebbe più da fare; ma se ne rifece con gli uomini. E di lui fu sempre detto che non c'era uomo al mondo che sapesse così bene festeggiare il Natale. Così lo stesso si dica di noi, di tutti noi e di ciascuno! E così, come Tiny Tim diceva: "Dio ci protegga tutti e ci benedica".


Tutta la storia la trovi qui



 

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