giovedì 7 febbraio 2008

Fiera del libro 2008 (3)

La Sindrome di Auschwitz


 


La sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (in alcuni casi anche fino all'innamoramento) nei confronti del proprio rapitore.

Viene talvolta citata anche in riferimento ad altre situazioni simili, quali le violenze sulle donne o gli abusi sui minori e tra i sopravvissuti dei campi di concentramento. (1)


Da Wikipedia



Tavola rotonda a cura della SPI Società Psicoanalitica Italiana.


Partecipa Israel Shamir. All'inizio della manifestazione viene letto un suo racconto:



LO "STATO" MENTALE


 I ripidi pendii del Wadi Keziv della Galilea occidentale sono tappezzati dalle brevi quercie locali e da ricciuti cespugli. Nelle valli, gli oleandri ed i cipressi si specchiano nelle pozze generate dalle sue cascate. Mi piace questo canyon racchiuso. Nei caldi giorni estivi, ci si puo' nascondere nelle sue profonde, intricate caverne e sguazzare nelle limpide acque fresche, aspettando un cervo e sperando di vedere una ninfa. Nei giorni piu' freddi, ci si puo' arrampicare su di un ripido sperone, chiamato Qurnain, il Corno, in arabo: da qui il nome arabo di Wadi Keziv, Wadi Qurnain. Al di sopra dello spur, il castello crociato di Monfort si innalza e scruta verso il distante Mar Mediterraneo.

 

Questo posto contiene molte memorie. I sionisti del 12esimo secolo, i Cavalieri Teutonici di Santa Maria, fortificarono il castello al di sopra dello sperone e lo chiamarono Starkenberg, il Monte della Potenza. Ne' il nome ne' la sua posizione inaccesibile furono d'aiuto: essi furono sconfitti da Saladino, il simbolo arabo del valore e della compassione, che permise loro di ripartire con armi ed onore alla volta dell'Europa orientale.


Il sentiero in pietra che conduce alla cascata e' stato descritto in maniera incantevole in Arabesque, una squisita novella dello scrittore palestinese Anton Shammas. Shammas, nato a Fassuta, nei dintorni, e' probabilmente l'unico non-ebreo al mondo ad avere scritto libri e poesie in ebraico.


Piu' ad occidente, il ruscello di Keziv si getta nel mare presso le rovine di az-Ziv, il villaggio cristiano palestinese distrutto dagli ebrei nel 1948. In questo villaggio, nei lontani anni '20, una ragazzina palestinese fu visitata da un'altra donna palestinese, la Vergine. In altre parole, e' il tipico luogo dell'insolita terra di Palestina.


...verso la pianura di Akka, mi sono imbattuto in una presenza umana. C'erano alcuni contadini thailandesi e cinesi che lavoravano i campi di un kibbutz locale. Un kibbutznik di mezza eta' osserva il lavoro seduto all'ombra. Mi avvicino giusto per un sorso d'acqua fresca ed una fumatina.


E' il prototipo del buon ebreo, grosso, bruciato dal sole, sorriso amichevole sotto baffi a cespuglio e parlata brusca. Cinquant'anni fa, lui, o forse il suo predecessore, uno delle Storm Troopers ebraiche, la Palmach, rubo' le terre di az-Ziv e deporto' in Libano i contadini che vi abitavano. Trent'anni fa, lavorava con le sue mani quella terra rubata. Ora guarda i thailandesi lavorarla. Molto presto, mi dice, andra' a New York, a trovare suo figlio, un web designer. Mentre sara' via, alcuni russi della citta' di Maalot andranno a controllare il lavoro dei contadini asiatici nel kibbutz. Nessun ebreo prova interesse nel lavorare la terra, e neanche nel guardare i thailandesi lavorarla, mi dice. Il kibbutz spera di ottenere un permesso per costruire, costruire case per venderle. E' un buon posto, dice, tra Naharia e Akka.


Gli stringo la mano, augurandogli buon viaggio, e saluto lui, i thailandesi sudati, i campi verdi, le montagne del Libano a nord, che contengono i campi profughi in cui sono finiti gli abitanti originari di az-Ziv, le montagne della Galilea ad est, che contengono la citta' "russa" di Maalot.

...

Il racconto per intero qui.


Letture per le scuole (a cura delle  Sorelle del Baby Hospital di Betlemme)




Betlemme


Il percorso del muro e` stato tracciato con estrema “intelligenza” e attenzione:  non solo si insinua tra le case, ma anche tra i  terreni in modo da ritagliare quanto piu` e` possibile della zona verde, togliendola al Territorio Palestinese, e tutto cio` come se fosse la cosa piu` ovvia. Il percorso del muro fa attenzione ad includere nella parte israeliana anche le sorgenti d’acqua del Territorio Palestinese, per destinarle ai  nuovi insediamenti che stanno invadendo dovunque le alture che circondano Betlemme, generalmente le zone piu` belle e piu` verdi.


La domenica mattina e` uno dei giorni piu` interessanti per vedere in che cosa consiste  l’umiliazione palestinese e la vendita della propria dignita` per  mendicare a Israele un po’ di lavoro e di pane quotidiano; la fila di coloro che attendono di varcare il check point comincia alle 4 del mattino: persone, anche anziane, in piedi per ore, con il loro misero sacchetto nero di plastica con dentro un po’ di cibo, esposti alle intemperie, incanalati pazientemente verso i controlli.  E questi sono i pochi “fortunati” che ricevono il permesso di uscire da Betlemme per lavoro.




Le lacrime di Jamil


La costruzione del muro ha causato la perdita e la distruzione di molte proprieta` degli abitanti di Betlemme, come in tutta la Palestina. Tra le molte, dolorose storie con cui veniamo a contatto, ci colpisce quella di Jamil.


Conosciamo da tempo Jamil, un uomo mite e semplice, che trascorreva la gran parte della giornata nel suo  cafe` shop[1], un piccolo locale privo di molti conforts, ma tutto suo, in un edificio a fianco della tomba di Rachele, vicino al nostro ospedale, un luogo altamente strategico, al confine tra Israele e Palestina.  In questi ultimi anni i suoi clienti erano diventati rari, ma il locale era ugualmente tanto importante per lui, e costituiva una specie di simbolo, un baluardo.  E baluardo lo era davvero per Jamil.  Lui sapeva, (o non lo voleva sapere) , e tutti sapevamo,  che prima o poi sarebbe stato privato del suo piccolo “regno” , incluso l’appezzamento di terra circostante, come stava avvenendo alle varie proprieta` palestinesi nella zona della tomba di Rachele, all’entrata di Betlemme[2].


 Ma la sua era la terra di famiglia, dei suoi padri, parte essenziale della sua vita e futuro per i suoi figli, e l’avrebbe difesa e custodita fino in fondo. Comincio` la costruzione del muro a Betlemme, e sempre piu` appariva chiaro quale sarebbe stato il suo percorso. I blocchi di cemento avevano gia` invaso Betlemme, ma Jamil rimaneva impavido al suo posto di lavoro, fedelissimo e puntuale, anche senza clienti, che ormai cominciavano a dileguarsi per paura.


Le autorita` Israeliane volevano quella terra, ma Jamil resisteva, fino ad andare in tribunale.


Gli offrirono denaro in abbondanza purche` cedesse i suoi beni cosi` preziosi. E poiche`, vendendo la sua terra ad Israele, Jamil avrebbe rischiato pelle e onore di fronte alla Palestina, gli avrebbero anche assicurato vita tranquilla in un altro Paese.


Jamil rifiuto` ogni offerta, per amore della sua terra, per onore, per paura per la sua vita, per i suoi figli, convinto che l’onore di difendere la sua terra vale mille volte di piu` di una montagna di denaro.  


 Il muro raggiunse infine il  cafe` shop di Jamil e lo avvolse anch’esso nelle sue anse grigie,  vi aggiunsero un cancello imponente e lo chiusero velocemente, e pure una torretta di colore grigio, con la permanente presenza di soldati a vigilare su  Rachele e sui Palestinesi. Il piccolo regno di Jamil spari` all’interno del muro, ingoiato per sempre insieme al piccolo appezzamento di terra.  


 Ancora oggi, Jamil lascia la sua casa al mattino e raggiunge il muro. A volte qualche soldato pietoso apre per lui il  cancello grigio, e lo fa entrare – fino a quando sara` possibile -  in quello che “era” il suo cafe` shop, e lui rimane li` alcune ore, in compagnia delle cose che un tempo erano la sua vita quotidiana e tutto il suo mondo. Se nessuno gli apre,  se ne torna a casa.


Jamil piange quando racconta la sua storia, il suo sguardo suscita tenerezza e ancora una volta non gli togliamo la speranza che, chi lo sa, magari un giorno la vita ritornera` felice e semplice come un tempo…. (le sorelle del Baby hospital)



(1) Esistono anche la

Sindrome del cuore di pietra 

Tal insieme di segni clinici colpisce i pazienti nella fase dopo aver sostenuto un’ operazione chirurgica, con caratteristica ipertrofia ventricolare sinistra


La sindrome di Gerusalemme

E' simile a quella di Stendhal ma si rapporta all'ambito religioso. Consiste nella manifestazione improvvisa, da parte del visitatore della città di Gerusalemme, di appassionati sentimenti religiosi e di un impulso a proferire espressioni visionarie.

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