domenica 7 settembre 2008

Vicenza

Oggi qui Vicenza 6-9-08



aperitivo con video


Buona domenica. Siamo ancora sopra la lunga coda della cometa estiva 2008.


Ma anche qui.



Ma non c'è due senza il tre.


Paola mi legge un passo de "Il vecchio con gli stivali", di Vitaliano Brancati:

"Aldo!" gridò lei. "Vieni! Mettiti a letto! Devo dirti una cosa." Egli arrossì vivamente, come se la moglie lo avesse sorpreso ad assaggiare la pasta nella pignatta, e compiute in fretta le solite operazioni della sera, presto fu sotto le coltri . "In fondo," disse la moglie, "i! fascismo è una gran bella cosa!"

"Non dico di no," fece egli che, nei giudizi, era sempre rispettoso. . "Ha fatto le strade; c'è ordine; nessuno più disturba i galantuomini; ti ricordi quando i comunisti ti fischiarono perché avevi in mano i! pacchetto di dolci, che non era nostro ...?" "Era del signor sindaco," disse Aldo Piscitello. "Mi piace come fa crescere i giovani! Guarda che i giovani vanno pazzi per Mussolini!"

"Non dico di no, non dico di no! Ma io mi son fatto sempre gli affari miei, e ora non so che cosa vogliano con questo fascismo!" "Senti!" disse la moglie che cominciava a stizzirsi, "Mille e mille persone meglio di te e di me dicono che i! fascismo è una grande cosa, e tu fai tante storie per diventare fascista?"

"Oh, io ne sono onorato! Ma vedi? .."

"E il Papa? Sai cos'ha detto il Papa? Che quell'uomo lo ha mandato la Provvidenza! Ora se i! Papa, che è Vicario di Dio in terra, non ci pensa due volte ..."

E così continuò la moglie, finché levandosi, nella foga dell'eloquenza, sul gomito destro, s'accorse che i! marito dormiva. Piano piano ricadde supina e seguitò a ragionare per conto suo. Verso le due del mattino, non potendo più resistere alla maligna esultanza che le dava la conclusione cui era pervenuta ragionando, svegliò i! marito: "No, tu mi devi dire questo: ti credi meglio del Papa? "

"Che? .. No!.. il Papa?" esclamò Aldo Piscitello nello spavento che gl'incutevano di notte le idee di Papa, Imperatori, Re, Dittatori, Ministri, Generali, tanto simili per lui ai baratri profondi e tenebrosi nei quali non abita che il vento. Ma poi si calmò, richiuse gli occhi, e piano piano, tra una bollicina di saliva, disse: "Domani m'iscrivo al fascio!"


...

Il 9 luglio Piscitello si ammalò di tifo. Per due giorni, ebbe la gioia di riposare le gambe indolenzite dalle marce, e conversare la sera con un medico molto ammodo, che gli sedeva al capezzale per riferirgli piano le notizie di radio Londra e ogni tanto sollevava una natica e infilava nell' aria qualcosa che poi faceva dire alla signora:
"Sarebbe bene aprire, qualche volta!"


"Dottore," implorava Piscitello, stordito dal mal di capo, dalla febbre e da una felicità rabbiosa come la febbre. "Glielo dica lei, a mia moglie, che quell'uomo ci ha rovinati!"


"E che bisogno c'è che lo dica io?" rispondeva il medico. "Basta affacciarsi e guardare!"


La moglie stava ritta e muta davanti al letto, fissando la testa calva del marito arrossata dalla febbre.


"Sì! È inutile che mi guardi!" diceva egli. "Ci ha rovinati! Lo direi a tutti, non me ne importa del confino e del carcere, ci ha rovinati, si è bevuto il nostro sangue!"


"Non gridi, signor Piscitello!" consigliava il medico. "Le fa male!"


"Ma ora verranno gl'inglesi e gli americani e gli daranno tanti cinque e cinquantacinque da levargli l'appetito! Gli calerà, il naso, ai gerarchi!"


Furono le ultime parole chiare e ordinate che egli disse, perché dopo s'impadronì di lui il delirio. E non vide, o almeno vide come in sogno, che lo portavano all'ospedale di Giarre; e qui lo abbandonarono tutti, fuorché le mosche che piovvero e rotolarono sul suo lenzuolo, umide e fitte come un mucchio d'uva passa. Migliaia di mosche stavano notte e giorno su di lui, alzandosi rabbiose per un istante quando egli si voltava, ma subito tornando a calzarlo dalla fronte ai piedi. Gliene camminavano sulla testa calva e sul naso; alcune gli giungevano fino all' orlo dell' occhio e voleevano entrare, ma poi si accontentavano di bagnarvi una zampetta; alcune si introducevano nell' orecchia suscitanndogli un desiderio di sternutire e di ridere che gli torceva la faccia come un morso di cavallo. Proprio questa smorfia fece dire a un medico, il solo che, passando di corsa per quella stanza, gli gettasse uno sguardo: "Il signore mi pare che ci saluti!"


I colpiti, gli squarciati, i mutilati dalle bombe riempivano le sale accanto, e i pochi medici dell' ospedale non aveevano tempo di badare a quel vecchietto privo di ferite. Mancava la garza, mancava il cotone idrofilo. Non sapevano, i poveri medici, come spiegare ai feriti che avevano commesso un atto spaventosamente leggero, una monelleria fuori posto da pagarsi coi più atroci dolori, a non morir subito tra le rovine come tanti loro compagni.


Finalmente una bordata dal mare mandò ruzzoloni quel miserabile carnaio, e Aldo Piscitello, con una leggerissima ferita alla fronte, fu trasportato di nuovo a casa, nel paesino dell'Etna, e restituito ai suoi che già lo piangevano morto.


Ma egli guarì, malignamente guarì, ed era al balcone quando un' armata straniera scorreva per le strade di tutte le città, e i paesini dell'Etna, su carri, carri armati, fusti di Cannone, auto, motocicli, trattrici, furgoni, furgoncini, e il frastuono e il rotolio ne andavano al cielo, al mare, sotterrra, scacciando gli uccelli dai boschi, i topi dalle chiaviche, confinando sulle tegole i gatti digiuni.


Aldo Piscitello salutava i soldati seminudi e di pelo rossso alzando l'indice e il medio, credeva che tutti lo conoscessero...


 Vitaliano Brancati, tutti i racconti, Bompiani, p.p. 389-390, p.411 .


Oggi leggerò tutto il racconto.

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