venerdì 15 luglio 2011

Chen


Chen



 



Ho appena finito di leggere "Storia della mia gente". Ho ancora fresca l'emozione del capitolo "Subito" (p.102) che descrive la perquisizione al "capannone lercio" occupato dai cinesi.   Le trovo le pagine più alte e commoventi del libro di Edoardo Nesi.  





"E finalmente ti accorgi che negli sguardi, nelle espressioni del volto, nelle parole e negli atti degli uomini e delle donne della polizia, dei vigili del fuoco, della polizia municipale, della guardia di finanza, dell'ASL che sono entati con te nel capannone non c'è rabbia, non c'è disprezzo, non c'è freddezza. Non c'è nemmeno il distacco che l'abitudine a questi spettacoli ti forzerebbe ad assumere. Ti pare invece che lavorino accompagnati dalla consapevolezza d'essere l'ultimo anello della catena di un sistema di valori del quale è giusto avere rispetto e che finisce nel concretarsi in uno dei pochi principi che ancora oggi ci trova tutti d'accordo e pertanto ci definisce "noi occidentali": la condivisione della profonda giustizia che sta alla base delle idee che hanno contribuito a formare la nostra legislazione del lavoro, quel vecchio arnese  consunto e splendente che nacque proprio in reazione al mostruoso sfruttamento delle persone che ho davanti agli occhi, e che ha ormai quasi 200 anni e, pur lungi dall'essere perfetto, da duecento anni si sposta lentamente ma inesorabilmente nella direzione di garantire maggiori diritti a chi lavora, e stabilisce che un diritto negato è un diritto, anche se nessuno protesta. E va difeso. Sempre..







Ti chiedi infine se, alla fine, non sia proprio questo il regalo che l'Occidente del XX secolo consegna al mondo, l'estrema sintesi di tutto ciò che è riuscito a costruire, e ti volti verso il muro perché non ti vedano mentre ti commuovi e preghi che la nostra gente vorrà continuare a essere sempre all'altezza del tesoro di valori e di futuro che si incarna nella Costituzione, e non smetta mai di sforzarzi di capire questa realtà dura come il diamante e semplice come il pane, di comprendere e di tollerare, sempre. Perché non c'è alternativa. L'aternativa è l'incubo. "(pp.112-113).







Questo pezzo mi ha fatto l'effetto della maddalena di Proust richiamandomi improvvisamente alla memoria Chen, quarta istituto tecnico per ragionieri e programmatori, ITC Einstein, a cavallo degli anni 80-90; la prima della classe, ritirata dalla scuola che io dirigevo, al momento di iscriversi alla quinta e ottenere quindi il diploma di Maturità. Cercai notizie presso i centri sociali dell'Isolotto e di Campi Bisenzio, non riuscii mai a contattare i genitori. Ho sempre sospettato che fosse un ritiro obbligato alla famiglia da qualche mafia interna alla sua comunità. Un diploma di maturità pone ostacoli all'organizzazione del lavoro come descritta da Edoardo Nesi "negli anfratti di un vecchio capannone lercio, fatiscente, coi muri dall'intonaco bigio, il pavimento di linoleum graffiato e scrostato e rattoppato, l'aria viziata di fiato e di fumo. Un capannone diviso in due da paratie di cartongesso sudicie e mezzo sfondate, illuminato a giorno da tubi al neon che oscillano penzoloni, attaccati alla bell'e meglio a fili neri grandi come dita che si uniscono in fasci grossi come pitoni e corrono lungo impalcature di plastica che sovrastano sghembe file di cucitrici nuove di zecca eppure già sporche e assediate da scatoloni mezzi aperti, ritagli di tessuto di tutti i colori, portacenere pieni di mozziconi, lattine di Red Bull spremute di rabbia e bottiglie d'acqua bevute a metà." (p.102). Leggiti il resto direttamente sul libro. Naturalmente spero di sbagliarmi. E se qualche raro navigante del fu ITC Einstein di Firenze sud-ovest, insegnante o compagno di classe di Chen, può darmi notizie utili sia lodata internet.  Chissà che non si faccia viva Chen dal suo computer…a smentire il mio sospetto. Ciao, Chen.


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