lunedì 17 ottobre 2011

Denaro e bellezza





La mostra a Palazzo Strozzi, qui a Firenze. Per me nuova e originale perché mette insieme materie che a scuola si insegnano separate: economia, religione o filosofia, arte. 







Bravi gli ideatori e realizzatori: 







Organizzazione: Fondazione Palazzo Strozzi







Da un'idea di: James M. Bradburne







A cura di: Ludovica Sebregondi e Tim Parks







Mi è piaciuto lo stile di Tim Parks: chi era costui?















Biglietto 10€







Vale la visita. Il mio consiglio agli internauti di aprire, prima di andare i due links:







La presentazione







I testi della mostra sala per sala, oggetto per oggetto.







La visita va fatta senza fretta, anche due ore. C'è anche un gioco elettronico che ti può fruttare un premio all'uscita..















Per chi ha fatto la fatica di venir qui, metto un saggio:






















Finanza, teologia e arte nella Firenze del Quattrocento.















 















Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità racconta la storia dell’invenzione del sistema bancario moderno e del progresso economico cui ha dato origine, ricostruendo la vita e l’economia europea dal Medioevo al Rinascimento. I visitatori possono entrare nella vita delle famiglie che ebbero il controllo del sistema bancario, cogliendo anche il persistente conflitto tra valori spirituali ed economici.Il mito del mecenate è strettamente legato a quello dei banchieri che finanziarono le imprese delle case regnanti, ed è proprio quella convergenza che favorì l’operare di alcuni dei più importanti artisti di tutti i tempi. Un viaggio alla radice del potere fiorentino in Europa, ma anche un’analisi di quei meccanismi economici che – mezzo millennio prima degli attuali mezzi di comunicazione – permisero ai fiorentini di dominare il mondo degli scambi commerciali e, di conseguenza, di finanziare il Rinascimento. La mostra analizza i sistemi con cui i banchieri crearono immensi patrimoni, illustra la gestione dei rapporti internazionali e chiarisce anche la nascita del mecenatismo moderno che ha origine spesso come gesto penitenziale per trasformarsi poi in strumento di potere.















 















Il fiorino, immagine di Firenze nel mondo















 




















































































Prima che i governi sottoscrivessero il valore della moneta, di carta o metallo, il denaro doveva avere un valore intrinseco; doveva essere d’oro o d’argento. Solo così un mercante l’avrebbe scambiato con i suoi prodotti. Serviva però un’ampia gamma di monete per far fronte alle spese grandi e piccole. 















Agli inizi del ’200, a Firenze come in molte altre città dell’Europa occidentale, si usava ancora il denaro d’argento creato con le riforme di Carlo Magno, ma valeva così poco che lo si doveva integrare con monete di maggior valore provenienti da Lucca e Siena. L’impetuoso sviluppo dell’economia rendeva necessaria la presenza di una valuta più adatta alle grandi transazioni.















Nel 1237 nacque la Zecca di Firenze, che coniò dapprima il fiorino grosso d’argento, del valore di 12 denari (o un soldo), e nel 1252 il fiorino d’oro, pari a 20 soldi (o una lira). Era una moneta serissima in oro puro a 24 carati del peso di 3,53 g, che oggi verrebbe a costare 110 euro o 150 dollari. Le ambizioni della città furono presto premiate. Alla fine del secolo il fiorino era già in uso in tutta Europa, non solo come moneta reale ma anche come valuta di conto.















Centrali, per illustrare questi percorsi, i capolavori realizzati per le famiglie di banchieri, mentre la mostra si chiude con la visione di una società in crisi, con quel ciclone politico-religioso che fu Savonarola. Il frate, con i “bruciamenti delle vanità”, arrivò a negare quanto il Rinascimento aveva rappresentato, pur costituendone parte integrante.







La mostra si avvale anche di dettagliate raffigurazioni del mestiere del banchiere (opera di straordinari artisti fiamminghi) per raccontare il periodo in cui Firenze era la capitale finanziaria del mondo. Vengono anche adeguatamente chiariti, con l’ausilio di strumenti multimediali, gli antichi percorsi del denaro e del commercio.Il successo conferì grande prestigio a Firenze e si rivelò una risorsa importante per mercanti e banchieri della città.
















 















Tutto è monetizzabile?















 




















































































Lo straordinario vantaggio del denaro è che consente di accumulare ricchezza per poi dividerla e usarla a piacimento. Lo svantaggio è che ogni prodotto e servizio assume un valore unitario, autorizzando i paragoni più improbabili: una botte di vino costa 20 soldi, una preghiera per un caro defunto 10, una prostituta 15.















Questo ci turba. Non sembra giusto porre sullo stesso piano cose così diverse. Il disagio era tanto maggiore in un periodo in cui le differenze sociali erano viste come un riflesso del volere di Dio. Nella Firenze del ’300, in molti lamentavano come il denaro potesse permettere ai più volgari di ambire a un ceto superiore o perfino mandarli «en paradiso». Il libero uso del denaro minacciava sia lo status quo sia la metafisica cristiana. 















Sono qui esposti vari oggetti e immagini, sacri e non, che rimandano alla tensione tra valore monetario e valori spirituali. La Madonna fu dipinta per affiancare un privato cittadino nelle preghiere, ma solo i più ricchi potevano permettersi un’opera simile; l’assistenza religiosa era diventata un bene di lusso.















E pur avendo partorito in una stalla, la Madonna indossa abiti fini e costosi.
















Usura















 




















































































La parola usura indica pratiche finanziarie proibite dalla Chiesa: quando non c’è produzione o trasformazione di beni concreti, ma solo riscossione di un interesse in denaro sul denaro. Dalla tarda antichità a oggi, l’usura è uno dei grandi problemi che collega e disgiunge economia e morale. 















Dove finisce il giusto compenso e dove inizia il lucro che distrugge le esistenze? Tra i vizi capitali fissati dalla Chiesa l’usura rientra nell’avarizia, e l’usuraio pecca perché vende l’intervallo tra il momento in cui presta e quello in cui viene rimborsato con l’interesse: commercia dunque il tempo, che compete solo a Dio. Il veto trovò eccezioni: Tommaso d’Aquino pose le premesse per inserire il tasso di interesse fra i contratti leciti, mentre Bernardino da Siena precisò la distinzione tra usuraio e banchiere, la cui attività consente la circolazione della ricchezza, dato che il prestito è alla base del moderno sistema finanziario. 















In questa tensione si fecero strada le donazioni pro remedio animae (per la salvezza dell’anima), destinate a opere di bene, o d’arte, ma le rappresentazioni dei prestatori conservano sempre connotazioni negative. La figura dell’usuraio è legata a quella dell’ebreo: essendo proibite loro quasi tutte le attività, agli ebrei non restava che la medicina e il prestito. 















La Chiesa avvertì la necessità di aiutare chi fosse in difficoltà e i francescani, dal 1462, ispirarono e fondarono i Monti di Pietà come istituzioni antiusura. 























Questo che segue è un esempio di commento:























Tommaso di Piero Trombetto (Prato 1464-post 1527) Ritratto di Francesco di Marco Datini 1491-1492 tavola















cm 131 x 69 Prato, Fondazione Casa Pia dei Ceppi







 















Il ritratto celebra Datini, fondatore dell’ospedale di Prato, circondato dai simboli della ricchezza: la sopravveste bordata di ermellino, gli anelli, la tappezzeria, il pavimento in marmo. Tutti prodotti riservati al ceto dirigente, cui Datini si era elevato con l’attività mercantile e creditizia. Dalla moglie non riuscì ad avere figli, ma si dimostrò generoso verso gli illegittimi, e non solo i propri: con un lascito di 1000 fiorini sollecitò Firenze a costruire un ospedale per i trovatelli. Ludovica Sebregondi















 















Un uomo «che tenea la femmina, e viveano solo a starne, adorando lo’ arte, lo’ invio e ’l danaro, dimenticando Iddio e se stesso», Francesco Datini, l’infaticabile mercante di Prato, nella sua lunga vita avrà fissato un prezzo per ogni bene immaginabile, compresa la schiava ventenne che gli diede l’unica figlia che riconobbe: Ginevra. Morì nel 1410 lasciando 124.549 lettere d’affari, 573 libri contabili e una fortuna di oltre 100.000 fiorini. La veste scarlatta sarà costata circa 80 fiorini, ben più della schiava. Tim Parks















 















Non male, mi sembra, senz'altro originale o almeno inusuale. Buona visita.



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