mercoledì 25 gennaio 2012

Sette giorni nella Palestina occupata - IV

Terza giornata - 31 dicembre – sabato
Da Gerusalemme a Ramallah
Alle 8 si esce dall’hotel per andare ad ammirare il panorama di Gerusalemme dal Monte degli Ulivi. Sotto di noi l’immenso cimitero e più lontano la grande città con le sue mura, le sue antiche costruzioni, le  chiese e le moschee. Una veduta impareggiabile, pur se offuscata da una leggera foschia. Alle 8,30 si parte verso Ramallah.
Nabi Samuel (tomba di Samuele)

Dopo pochi km si prende una piccola strada che porta ad un povero villaggio con poche case, dove è la tomba di Samuele e dove incontreremo un sindacalista amico di Mike, che viene a parlarci uscendo in ciabatte dalla sua modesta abitazione (nella foto col n.9).
 Tutto intorno la confusione tipica di questi villaggi, con pecore in un recinto, polli in un rudimentale pollaio e tanti gatti. La scuola è un cubo circondato da una rete metallica. Dopo aver acquistato qualche ricamo dalla moglie, si riparte per Bil-in. Lungo il percorso, si vedono strade provenienti da villaggi palestinesi chiuse da blocchi di cemento per impedire l’accesso alla strada principale che va a Gerusalemme e diversi checkpoints.
Bil-in è il villaggio che dal 2005 ogni venerdì di ogni settimana per 6 anni ha organizzato manifestazioni di protesta contro la costruzione del muro accanto al paese per proteggere il grande insediamento di Modi’in Illit, costruito sulla collina prospiciente il villaggio. L’esercito interveniva con idranti e sparo di lacrimogeni, ma la popolazione non si è arresa e alla fine ha ottenuto che la costruzione del muro fosse spostata più lontana dalle case del villaggio e dai suoi campi. Tutto questo ci viene raccontato con dovizia di particolari da alcuni rappresentanti del Comitato Popolare per la resistenza non violenta, che ci portano subito a rendere omaggio alla tomba di Bassem, ucciso nell’aprile 2009, durante una delle usuali manifestazioni, da un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo. Dopo di lui è morta anche la sorella, asfissiata dai gas  lacrimogeni.
 Con noi c’è anche Rajia (al centro della foto), la ragazza che vuole studiare per realizzare il suo sogno di diventare pediatra e che l’Associazione per la Pace ha deciso di aiutare per realizzarlo.
 Ci incamminiamo lungo una stradella che conduce verso il muro, al di là del quale sorge il grande insediamento. Alla nostra sinistra, in fondo al pendio, il muro prosegue aggirando la collina e separando il territorio di Bil-in dalla grande strada. In terra i resti dei lacrimogeni e le tracce di violenti scontri.  Il racconto pieno di foga e di passione di un giovane palestinese ci fa capire dell’importanza vitale che questa lotta riveste per queste popolazioni, che non vogliono arrendersi di fronte alla forza e alla prepotenza. E ancora una volta non riusciamo a comprendere come uomini che perseguono un cammino di fede e che hanno subìto angherie e persecuzioni possano riproporre azioni e metodi che loro stessi hanno sopportato, invece di cercare di intraprendere un cammino di pace, come è nelle finalità di qualsiasi credo religioso. Alla sede del Comitato ci sediamo nel piccolo giardino, dove ci viene servito l’immancabile tè e dove posiamo per le foto ricordo.
Ramallah è una città della zona A dove gli israeliani non entrano. Il suo centro è vivace e colorato, pieno di traffico e le zone libere da edifici sono disseminate di rifiuti. Ci infiliamo a mangiare in un tipico locale, dove dei bambini si occupano di apparecchiare e sparecchiare i tavoli. Si mangia bene e dopo pranzo entriamo in un caffè dove molti clienti stanno fumando il narghilè. Anche qui Luisa viene riconosciuta da un barbuto cliente che fa a tutti noi molte feste.
Alle 15 siamo nel Medical Center, dove un medico, Mohamed Skafi (foto sotto, a dx di Luisa Morgantini),  fa gli onori di casa, perché Barghouthi è impegnato in una riunione dell’OLP.
 E’ lui a spiegarci che il Centro è una organizzazione non governativa costituita nel 1979. Essa conta migliaia di volontari e 400 impiegati che lavorano in Cisgiordania e Gaza con strutture fisse e mobili ed è divenuta una delle più grandi ONG della Palestina. Le popolazioni della zona C e Gaza sono curate da questa ONG, mentre quelle della zona A e B dipendono dal Ministero della Salute.
L’Organizzazione si occupa della formazione di squadre di primo soccorso che lui dirige da 17 anni. Essa gestisce anche 9 ospedali mobili, di cui 2 a Gaza. L’Organizzazione predispone anche programmi didattici per la popolazione, che ha molti problemi a causa dell’inquinamento dell’acqua potabile. Molte donne partorienti muoiono di setticemia perchè bloccate ai checkpoints, per cui verso la fine della gravidanza si cerca di ospitarle in strutture il più possibile vicine agli ospedali. L’organizzazione si preoccupa anche di preparare 20 donne ogni due anni perché possano poi lavorare nelle proprie comunità, facendo servizio di giorno con la mezza luna rossa palestinese e di notte nei loro villaggi. Ci fa notare che in questa ONG il 60% degli addetti è costituito da donne. Verso la fine dell’incontro arriva Mustafa Barghouthi (foto sopra a sx di Luisa),  a suo tempo membro del Partito Comunista Palestinese, fondatore del Centro e mediatore del Governo di unità nazionale. E’ molto soddisfatto per il buon esito dell’incontro con l’OLP e ci ringrazia per la nostra presenza in Palestina.
Alle ore 17 ci spostiamo nella sede del Governo, dove incontriamo Salam Fayyad (foto sotto), primo ministro del Governo di emergenza istituito a Ramallah a luglio del 2007 da Mahmoud Abbas, dopo che Hamas aveva preso il controllo di Gaza e in seguito allo scioglimento del Governo di unità nazionale.

Ci saluta riconoscente per la solidarietà con la causa palestinese che dimostriamo con la nostra presenza e che è di grande aiuto per il movimento palestinese. Lui è uno dei fautori della resistenza non violenta, che cerca di testimoniare in ogni occasione negli incontri internazionali. Cita il Presidente della Repubblica Ceca scomparso pochi giorni fa, che è stato un alfiere importante della non violenza e ringrazia Luisa, che in Palestina è conosciuta come una delle 5 personalità internazionali che opera per la resistenza non violenta. Con pacatezza ma altrettanta fermezza si dice convinto che questa forma di resistenza rappresenta l’unica arma vincente contro l’oppressione israeliana. Cita gli atti terroristici giornalieri da parte degli israeliani e gli atti vandalici dei coloni e ci dice che per loro è importante e li fa sentire più forti avvertire questa vicinanza esterna alla loro causa. Il popolo palestinese è perseverante, ma se non si opera per i servizi essenziali anche questa perseveranza verrà erosa. Così dal 2009 il governo ha individuato insieme alla popolazione le priorità da conseguire: scuole, acqua, sanità, infrastrutture. Adesso nessuno potrà più dire che i palestinesi non si meritano un proprio Stato perché hanno scelto il terrorismo per far valere i propri diritti. Nel frattempo però si continua a morire e solo recentemente , il 10 dicembre di quest’ anno, un altro ragazzo è stato ucciso da un gas lacrimogeno. Come definire questi episodi ricorrenti? Il popolo vuole solo che l’occupazione finisca. Però si dice anche convinto che, se la comunità internazionale non prenderà una posizione finalmente chiara e ferma sulla situazione palestinese, sarà difficile arrivare a una soluzione positiva per questa terra. Rispondendo ad una precisa domanda, auspica anche una riconciliazione fra le varie anime e forze palestinesi, Hamas e Fatah in primis, per il perseguimento del comune obiettivo finale, la fine dell’occupazione. La divisione fa comodo ad Israele e senza il superamento delle divisioni ogni sforzo è destinato al fallimento.
 Verso le 18, ormai a buio il pullman ci ha lasciato vicino alla tomba di Arafat. Oggi è la ricorrenza della nascita di Fatah: così ci siamo ritrovati in mezzo ad una grande folla di persone, giovani inquadrati che cantavano e saltavano sventolando bandiere, bambini vestiti di giallo come il colore di Fatah, militari schierati davanti all’ingresso e tanta folla festante in fila per entrare nel salone dove è la tomba del vecchio leader. Poi è arrivato Abu Mazen con alti funzionari del governo che sono entrati a rendere omaggio alla tomba e infine anche noi abbiamo potuto partecipare a questo rito collettivo. Tutto si è svolto in un misto di solennità e festosità popolare di notevole  impatto emotivo.
Alle 19,30 siamo in albergo dove incontriamo un giovane insegnante israeliano, che è stato anche ufficiale nell’esercito, che auspica una Palestina unita, senza divisioni. L’auspicio è certamente condivisibile, ma la situazione che abbiamo cominciato a conoscere più da vicino, ci ha mostrato che questo per ora resta solo un auspicio.
Alle 22 ha inizio la super cena, che cerchiamo di onorare al meglio. Si è atteso la mezzanotte sentendo musica e anche ballando e poi abbiamo brindato insieme con l’augurio  di poter vedere presto una Palestina liberata e indipendente.
(dal diario di Fiorella)

Nessun commento:

Posta un commento