lunedì 9 gennaio 2012

Palestina mon amour II



COLONI
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Sulla strada per Nablus, a destra appena sotto la carreggiata, c'era una specie di cubo bianco e davanti nel campo un uomo ancora giovane coi capelli grigi guidava un asino che tirava l'aratro. Intorno due ragazzi; a pochi metri, inginocchiata davanti a un fuoco di legna, una donna giovane magra cuoceva sulla piastra calda delle sfoglie sottilissime di pasta. Avrebbe potuto essere una scena di molti secoli fa. Le sfoglie di pasta ci facevano gola per quell'aspetto antico e semplice. Lei ne ha date un po’ a noi donne che le stavamo intorno, mentre io guardavo il cubo di casa che mi pareva senza finestre: una grande stanza per tutta la famiglia. Intanto si era avvicinato alla strada il marito. Gli si leggevano in viso l'indignazione e la rabbia.
- Vengono qui loro (i coloni) tutti i venerdì, che sarebbe giorno di riposo, ma io lavoro lo stesso. Mi sfottono, mi dicono che dovrò venderla questa terra e la prenderanno loro. Tutto prendono. ma io porto nel campo i miei figli perché si affezionino alla terra e non se ne vogliano separare. -
Ci siamo allontanati con un vago senso di colpa e con molta tristezza da questa tragedia quotidiana.
***
Nel centro di Hebron, città palestinese, c'è una zona che sembra uscita da un film di fantascienza. C'è una strada larga quasi deserta. I palestinesi non possono passarci perché unisce due insediamenti ebraici. E' per questo che abbiamo affollato per un quarto d'ora il negozietto di un palestinese che
si trova all'entrata e gli abbiamo comprato un po’ di tutto, perché solo noi turisti possiamo passare di lì e fargli raggranellare qualche shegel.
Gli unici esseri umani che transitano sono appunto rari coloni, mentre dal tetto di una delle case malandate dalla porta sbarrata guardano in silenzio tre bambini palestinesi. Non potranno scendere giù nella strada, il loro mondo è dall'altra parte, dove si trova anche il percorso tortuoso per arrivare alla casa.
Camminiamo in silenzio, contagiati dall'atmosfera ostile della strada..A due riprese passano correndo, in calzoncini corti, giovani soldati.
Nell'ultima fila ce n'è sempre uno col mitra. All'improvviso mi vengono in mente i giovani della repubblica di Salò di cui ho visto più volte le
immagini in documentari dell'epoca. La stessa sensazione agghiacciante. Poso lo sguardo sui murales che tappezzano i muri sul lato destro
della strada. Ce n'è uno in cui un disegno piuttosto grossolano ma eloquente mostra in alto l'occhio di Dio e sotto un paesaggio. Una scritta
in inglese illustra: Dio ha riservato al suo popolo la terra promessa.
Questa strada surreale mi sembra il simbolo di un esproprio malvagio decretato da una divinità folle o piuttosto pensata da una mente folle.
Quando la strada finisce, attraversato il blocco, ci accorgiamo che stiamo rientrando nel centro della città: auto, carretti, camion, donne  con la verdura e tanto rumore, la solita bolgia di queste città del medio oriente. ma è un'immagine di vita e la sensazione è liberatoria. 
(Paola)


Video RAI   (assolutamente da vedere)

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