venerdì 20 marzo 2015

Dante e Darwish


Dante e Darwish

La perla e l’ostrica

La Perla è un prodotto del dolore, risultato dell'entrata di una sostanza estranea o indesiderabile nell'interno dell'ostrica, come un parassita o un granello di sabbia. Un'ostrica che non è mai stata ferita, in un modo o in un altro, non produce perle, perché le perle sono ferite cicatrizzate.
O vos omnes qui transitis per viam attendite et videte si est dolor vester sicut dolor meus.     (Bibbia,  Geremia,I,12 )      
O voi che per la via d'Amore passate
attendete e guardate
s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave.
(Dante, Vita Nova, VII, 3-6)


Ahi dal dolor comincia e nasce

L'italo canto. (Leopardi: ad Angelo Mai)

La mia letteratura corrisponde a un preciso momento storico: Il poeta in fin dei conti cerca di umanizzare la storia e fa emergere la bellezza come risposta alla crudeltà dei nostri tempi. Io sono orgoglioso di essere palestinese, ma auspico che l’occupazione non sia condizione necessaria per diventare poeta.
(Darwish – Intervista fatta a Firenze nel 2005)


Sono tutti e due poeti dell’esilio e della sconfitta;
Tutti e due hanno fatto esperienze di governo;
Tutti e due hanno trovato nella poesia la fuoriuscita dalla banalità del male presente intorno a loro.

La Trilogia palestinese  e  la Divina Commedia a confronto:

L’Inferno e il Purgatorio di Dante  li apparento al “Diario di ordinaria tristezza” e “Memoria per l’oblio” di Darwish; il Paradiso ci fa vedere Dante che si distacca dall’”aiuola che ci fa tanto feroci” volando in cielo con Beatrice-teologia; “In presenza d’assenza” Darwis supera le barriere della morte con la poesia che “vince di mille secoli il silenzio”, per dirla con Ugo Foscolo.

Dante è la farfalla che vola via libera:
Non v’accorgete voi che noi siam vermi
Nati a formar l’angelica farfalla
che vola alla giustizia sanza schermi?
(Purgatorio, X, 24-27)
Darwish esce da se stesso, finalmente libero, verso una seconda vita:
Lascia che ti guardi, ora che ti sei staccato da me, indenne come pura prosa su di una pietra che si tinge di verde o di giallo in tua assenza, lascia che ti guardi, ora che mi sono staccato da te. Lascia che raccolga te il tuo nome come fanno i passanti con le olive dimenticate, nascoste tra i sassolini. Andiamocene insieme, tu e io, in due direzioni diverse: tu verso una seconda vita, promessa dalla lingua, in un lettore che forse sopravvivrà all’impatto di una cometa con la terra; io, verso un appuntamento più volte posticipato con la morte a cui, in una poesia, ho promesso un calice di vino rosso. (Trilogia palestinese, p. 287)
Dante ci saluta dal cielo, finalmente libero:
O insensata cura de’ mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali!
Chi dietro a iura, e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,
e chi rubare, e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s’affaticava e chi si dava a l’ozio,
quando, da tutte queste cose sciolto,
con Beatrice m’era suso in cielo
cotanto gloriosamente accolto.
 (Paradiso, XI, 1-12)
Darwish: Voglio cantare e poi andar via.
Voglio cantare. Sì, esatto voglio cantare questo giorno bruciato. Voglio cantare. Trovare le parole che muteranno la lingua in acciaio dell’anima, una lingua che sappia battere questi aerei, questi insetti d’argento scintillante. Voglio cantare. Inventare una lingua che mi sostenga, che sosterrò, la lingua che mi dia prova e a cui darò prova della forza che ci abita, una forza capace di trionfare sulla solitudine universale. Voglio cantare e poi andare via. (Trilogia p. 179)

Dante contempla il mondo dalla costellazione dei Gemelli (la sua):
Col viso ritornai per tutte quante
Le sette spere, e vidi questo globo
 Tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
 e quel consiglio per migliore approbo
 che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
 chiamar si puote veramente probo …
E tutti e sette mi si dimostraro
Quanto son grandi e quanto son veloci
 E come sono in distante riparo.
 L’aiuola che ci fa tanto feroci,
 volgendom ’io con li eterni Gemelli,
 tutta m’apparve da’ colli alle foci;
poscia rivolsi gli occhi a li occhi belli.
(Paradiso, XXII, 133 sgg)
Darwish, più modestamente ma non meno acutamente, guarda i passanti dalla finestra:
Fa’ quel che devi: difendi il diritto della finestra di guardare i passanti. Non schernirti se non sei capace di addurre prove: l’aria è l’aria, non ha bisogno di certificato del sangue. Non abbandonarti al rimpianto. Non rimpiangere quel che hai perso quando ti sei assopito annotando i nomi degli invasori nel libro di sabbia. La formica racconta, la pioggia cancella. Quando ti svegli non rimpiangere di aver sognato. (Trilogia, p.289)
Dante rifiorisce come una pianta tramite la poesia:
Io ritornai da la santissima onda

rifatto sì come piante novelle

rinovellate di novella fronda,

puro e disposto a salire alle stelle.
(Purg. XXXIII, 136-144)
Darwish: La poesia fa spuntare l’erba dalla roccia:   
“l’erba non è così fragile come pensiamo. Da quando ha nascosto la sua ombra modesta nel segreto della terra, non si spezza più. Nell’erba spuntata dalla roccia c’è il prodigio della parola rivelata dal mistero divino, senza clamore né squilli di trombe. L’erba è profezia spontanea, senz’altro profeta che il proprio colore opposto a quello della terra arida. L’erba è fluente poesia di intuizione, semplicemente inafferrabile e inafferrabilmente semplice. È l’avvicinarsi della lingua al significato e il connubio del significato con l’ospitalità della speranza”. ( Trilogia, p.372)

Dante: La poesia potrà riportarmi in patria:
Se mai continga che il poema sacro
vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bell’ovile ov’io dormì’ agnello,
nimico ai lupi che mi danno guerra,
con altra voce ormai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò il cappello.
(Paradiso 25,1-19 )
Darwish:  Le parole valgono una patria
In questo tramonto soltanto le parole sono qualificate a riparare il tempo e il luogo spezzati e a nominare dei che ti hanno trascurato e si sono gettati nelle proprie guerre con armi primitive. Le parole sono le materie prime per costruire una casa. Le parole sono una patria.
(Trilogia, pag. 336)
Dante ha problemi con i compagni di sventura:
“Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e il salir per l’altrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle,
sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle;
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr'a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova” …ma, poco appresso,
ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.”
(Paradiso XVII, 58-66)
Darwish: “Quante incongruenze tra noi palestinesi
“quante incongruenze,” ho esclamato, “tra noi palestinesi. Ci sono interi uffici con tanto di aria condizionata e saloni di rappresentanza che servono solo a diffondere calunnie maldicenze. Quel gruppuscolo si è specializzato nel commercio di martiri: ‘ce ne servirebbero altri 20 per portarci al livello’. E così si è combattuto per accaparrarsi un martire di cui non si conosceva l’affiliazione. Si è messo a morte un combattente perché ha rifiutato di sparare a un amico che militava in un’altra organizzazione. Si è buttato il suo cadavere in un pozzo abbandonato e li è rimasto finché una veggente non l’ha ritrovato”. (Trilogia, p.197)
Il materiale di cui si compongono le opere di Dante e Darwish comprende tutto lo scibile a loro contemporaneo, impastato con le loro esperienze di vita:
Nel “ poema sacro al quale han posto mano e cielo e terra” trovi l’impegno politico di Dante, l’esilio, i classici latini (Virgilio, Ovidio, Lucano, Stazio, Orazio, Cicerone…), I padre della chiesa, la bibbia, la letteratura romanza, la filosofia e letteratura araba.
Nella Trilogia palestinese Darwish inserisce le vicende della patria e della famiglia, la Bibbia, il Vangelo, la  Thora, il Corano, i filosofi e saggi arabi:Abd Allah ibn Salam, Ka’ab, Dahhak, Mujahid, Akrama. Al-Sirri, Abi Salik e Abu Malik, Murra al-Hamadhani, Ibn Mas’ud, Ibn al-Athir…
Vedi a p. 186,  in Matteo XIII Gesù che, cedendo alle insistenze di una madre, le guarisce la figlia ( leggi: Palestina), vedi a p. 200 Begin marchiato da terrorista crudele come il Giosuè biblico ( Bibbia, libro di Giosuè, VI, 6-26).
Vedi a p. 173-74 la sura del Calamo dove si evidenziano i vaneggiamenti pseudo religiosi dei cosiddetti saggi.

Il tema dell’esilio

Dante affronta così l’esilio:
E io, che ascolto nel parlar divino
Consolarsi e dolersi
Così alti dispersi,
I'essilio che m'è dato, onor mi tegno.
(mi ritengo onorato di soffrire l’esilio 
visto che così nobili esiliati soffrono
e si consolano col loro parlare divino.)
 (Dante, la canzone dell'esilio )
E ancora:
…lungi da un uomo che predica la giustizia il pagare, dopo aver patito ingiustizie, il suo denaro ai persecutori come a benefattori.
Non è questa la via del ritorno in patria; ché se non si entra Firenze per una qualche siffatta via, a Firenze non entrerò mai.

E che mai? Forse che non vedrò dovunque la luce del sole e degli astri? Forse che non potrò meditare dolcissime verità dovunque sotto il cielo, se prima non mi riconsegni alla città, senza gloria e anzi ignominioso per il popolo fiorentino? Né certo il pane mancherà. (Dante, lettera all’amico fiorentino, 1215)
Darwish affronta l’esilio, lo sfida e lo elogia:
l’esilio non è un viaggio, un andare e tornare, né un soggiornare nella nostalgia. Forse è visita, attesa degli effetti del tempo, uscita da se stessi incontro agli altri per fare conoscenza e stare in armonia o per tornare nella propria conchiglia.
…In esilio ti scegli uno spazio per domare l’abitudine, uno spazio personale per il tuo diario e scrivi:

il luogo non è trappola

 possiamo dire: 


qui abbiamo una strada laterale


un fornaio

una lavanderia

una tabaccheria

un angolino

un odore che ricorda…

L’esilio è un ponte tra le immagini per attraversare la fragilità, è il narciso sottoposto al test della superbia e della modestia al contempo, è la disputa dei diversi, è l’accordo dei simili. Non tutto ciò che qui ti rifiuta, laggiù ti accoglie. Non tutto ciò che somiglia al laggiù, qui chi accoglie.
E non dimenticare di ringraziare l’esilio con magnanimità: “ti elogerò, esilio, degno di elogio, laggiù, sotto un fico che mi darà ospitalità, presso la casa di mia madre, come un passante in un autunno passeggero”.(Darwish, Trilogia, p.334).
Post scriptum: Concludiamo con le seguenti parole di Dante che dedichiamo ai palestinesi figli della Nakba, esiliati in patria e dispersi in ogni parte del pianeta Terra:
“Soffro per tutti coloro che soffrono, ma maggior pietà provo per coloro che visitano la loro patria soltanto in sogno”. (Dante, De Vulgari Eloquentia, II,6)
Firenze, BibliotecaNova dell’Isolotto, 12 marzo 2015   Urbano Cipriani


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